Gentili deputate e gentili deputati,
eviterò di ripercorrere tutti i dati e le considerazioni generali rispetto agli effetti economici e di riduzione delle emissioni, poiché sono noti e saranno in larga parte trattati dagli altri soggetti auditi che sono ben più qualificati di ALI a fornire una visione di insieme su un tema tanto ampio.
Quello che mi interessa in questa sede è fornire degli approfondimenti rispetto ad alcuni temi specifici che riguardano da vicino la base associativa che noi rappresentiamo, gli enti pubblici territoriali.
Partiamo dagli interventi su edifici pubblici ed edilizia residenziale pubblica.
La disposizione all’art. 119, d.l. 34/2020, prevede che possono accedere all’incentivo i condominii, le persone fisiche proprietarie di edifici, gli istituti autonomi case popolari, le cooperative di abitazione a proprietà indivisa, le onlus e le altre associazioni senza scopo di lucro, le organizzazioni di volontariato, le associazioni e le società sportive dilettantistiche.
Dalla lettura della norma ci si accorge quindi di come lo spazio per l’accesso all’incentivo da parte di enti locali sia ridotto: l’unica possibilità sembra infatti riguardare il caso di partecipazione ad un condominio.
Si è dibattuto sulla possibilità di accesso alla misura anche dei soggetti esenti da imposta sui redditi, come i Comuni e gli altri enti territoriali.
Su questo punto l’Agenzia delle Entrate ha fornito un’interpretazione restrittiva, negando la possibilità di usufruire del bonus anche sotto forma di cessione del credito o sconto in fattura, per gli enti che non producono redditi imponibili ai fini IRES. Sembra quindi che tale possibilità sia preclusa non solo per il superbonus, ma anche per gli altri come ad esempio ecobonus e sismabonus, d.lgs. 63/2013, o il bonus facciate, legge n. 190/2019.
Gli enti pubblici possono però prendere in considerazione altri strumenti previsti dalla normativa sull’efficienza energetica con meccanismi di incentivo o finanziamento a fondo perduto pensati anche per gli enti locali e le pubbliche amministrazioni in generale.
Precisiamo tuttavia che gli istituti autonomi case popolari, oltre che, come già accennato, alcuni enti non commerciali (onlus, associazioni, organizzazioni di volontariato) costituiti o partecipati da enti pubblici, possono invece accedere all’incentivo del “superbonus” e agli altri incentivi basati su detrazione di imposta.
Questa impostazione restrittiva ha ridotto in modo determinante la possibilità degli enti pubblici di utilizzare questo strumento per la riqualificazione del proprio patrimonio immobiliare.
Un discorso diverso vale per l’edilizia residenziale pubblica, per cui invece l’intervento era ammesso. Sulla base dei dati rilasciati da ENEA, a marzo 2022 erano stati avviati più di 122mila cantieri sull’edilizia residenziale pubblica con un investimento pari a 21,4 miliardi di euro.
Solo per citare alcuni esempi:
L’Agenzia territoriale per la casa (Atc) di Torino, ha aperto a ottobre 2020 il primo avviso alle imprese per svolgere i lavori su 470 condomini (per un totale di 13mila appartamenti sui circa 30mila gestiti
La Aler Milano, l’azienda per l’edilizia residenziale pubblica di Milano, punta a migliorare l’efficienza energetica di circa un sesto degli alloggi che gestisce (10.250 su oltre 58mila).
D’altronde il patrimonio di edilizia residenziale pubblica è spesso vetusto. Secondi i dati Federcasa, ente che rappresenta 80 soggetti pubblici, oltre la metà del patrimonio residenziale gestito, circa 400mila alloggi, è classificato ad elevato consumo energetico (classi E, F e G) e, le famiglie che vi abitano impegnano più del 10% del loro reddito per questi consumi. Emerge quindi in modo netto un tema di ricaduta sociale di tali misure.
Occorre rilevare che in virtù delle modifiche apportate dal decreto 59/2021 si prevede che per gli interventi effettuati da istituti autonomi case popolari per i quali alla data del 30 giugno 2023, siano stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo, l’incentivo spetta anche per le spese sostenute fino alla data del 31 dicembre 2023.
Una piccola deroga che aiuta in parte a portare a termine interventi già avviati e a non creare i cosiddetti “esodati del superbonus” in strati di popolazione già svantaggiata e con fasce di reddito molto basse. Vorrei qui ricordare la definizione di povertà energetica: una situazione nella quale una famiglia o un individuo non raggiunge un adeguato livello di servizi energetici essenziali a causa di una combinazione di basso reddito, spesa per l’energia elevata e bassa efficienza energetica nelle proprie case.
È evidente quindi che le famiglie che risiedono in edifici di edilizia sociale sono particolarmente esposti a questa condizione e sono quelli che hanno pagato in misura maggiore i rincari energetici dell’ultimo anno.
Un altro tema correlato che mi interessa sollevare riguarda l’attuazione dell’articolo 5 della Legge 10/91, che istituisce i PEC – Piani energetici per i Comuni con popolazione superiore a 50mila abitanti.
Il PEC è uno strumento pianificatorio che si affianca al Piano Regolatore Generale e che comporta la misura dei consumi di energia della città, l’analisi di questi dati e l’individuazione degli interventi di risparmio di combustibili tradizionali e la promozione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili.
Tale strumento è ancora in larga parte inattuato e, alla luce degli obiettivi 2030 appare molto attuale e andrebbe recuperato per fornirgli piena operatività, naturalmente affiancando i Comuni e fornendogli strumenti, soprattutto finanziari e di semplificazione normativa che gli consentano di dare forma e sostanza a tali piani.
D’altronde l’orientamento del contesto europeo è molto chiaro, e la nuova direttiva Case green interroga tutti noi sulla necessità di accompagnare la riqualificazione del patrimonio immobiliare. In Italia, infatti, sono presenti oltre 12 milioni di edifici e 31 milioni di abitazioni (ISTAT). Il 15% degli edifici è stato realizzato prima del 1918 e circa il 65% è stato costruito precedentemente alla prima legge che introduceva criteri per il risparmio energetico nel 1976.
In questo contesto siamo partiti avvantaggiati rispetto ad altri poiché siamo stati uno dei primi paesi in Europa che con il superbonus 110% ha introdotto un forte meccanismo fiscale incentivante. Purtroppo, le ultime rimodulazioni ne hanno fortemente limitato l’operatività e rischiamo di perdere il vantaggio acquisito. Naturalmente siamo coscienti che una premialità così elevata abbia creato alcune distorsioni, che vanno corrette, certo, ma crediamo fortemente nella necessità di un forte investimento nella direzione dell’efficientamento. D’altronde è nostro primo interesse, in qualità di paese manifatturiero e trasformatore, con una carenza storica di materie prime, lavorare nella direzione dell’efficientamento, a maggior ragione considerando le vicende di carattere internazionale e l’importanza geopolitica del ridurre i fattori di dipendenza esterna.
D’altronde l’aumento delle materie prime e dei costi energetici è un fattore che rischia di creare molti problemi collaterali, ne cito solamente uno. Assistiamo ormai da molti mesi a gare d’appalto che vanno deserte per le opere pubbliche finanziate dal PNRR. In una prima fase si attribuiva la responsabilità di questo fenomeno al fatto che le imprese preferivano lavorare sui cantieri legati al superbonus poiché in grado di garantire margini migliori. Tuttavia, considerato lo stato dell’arte e il blocco attuale le imprese continuano a non rispondere. Oltre 500 gare negli ultimi 7 mesi sono andate deserte a livello nazionale. Questo è dovuto in gran parte al caro materiali che rende antieconomico per l’impresa operare, ma abbiamo sempre più evidenze che l’aumento dei prezzi delle materie prime non è un fattore endogeno legato al superbonus ma dipende in larga parte da elementi esogeni legati a tensioni geopolitiche e a una generale riorganizzazione e riorientamento delle catene del valore a livello globale.
Mi rendo conto che sono elementi che possono apparire slegati ma in realtà insistono tutti su un’unica necessità, agevolare la vita degli enti locali e di chi si dedica all’interesse generale. So che è retorica ma i Comuni sono l’istituzione più vicina ai cittadini; quindi, ne interpretano per primi gli umori e sono quelli che tentano di fornire risposte disegnando politiche. Lo sviluppo locale passa in gran parte dalla capacità degli enti territoriali di indirizzare gli investimenti, sia pubblici che privati. I sindaci sono falcidiati da burocrazia, scarsità cronica di risorse, organici sottodimensionati che si accompagna alla costante crescita di oneri e responsabilità. Gli enti territoriali chiedono solamente di avere strumenti e mezzi adeguati a operare nel pieno delle loro possibilità. La riqualificazione degli edifici si traduce in riqualificazione urbana, che è un caposaldo dell’azione amministrativa poiché riduce il disagio economico delle famiglie, aumenta il benessere, la qualità di vita, riduce i fenomeni di emarginazione e degrado, abbassa i livelli di criminalità, aumenta i livelli di sicurezza antisismica, senza citare tutti i benefici di carattere ambientale in termini di riduzione delle emissioni e di riduzione della dipendenza energetica estera o la creazione di posti di lavoro.
Ecco il nostro messaggio in questa sede, onorevoli deputate e onorevoli deputati è proprio questo: le norme generano impatti diretti e indiretti, su più livelli quindi chiediamo di fare una valutazione attenta di costi e benefici per lo Stato e, di non limitarsi ad un approccio puramente contabilistico che può essere utile a liberare risorse nell’immediato ma rischia di impegnarne molte di più per il futuro per far fronte agli effetti di un mancato intervento.
Grazie a tutti per l’attenzione, rimango a disposizione per eventuali domande o approfondimenti.
*di Alessandro Paglia, Direttore Ufficio progetti ALI