Il ruolo dell’amministratore è da tutelare, perché dedicarsi con onestà, impegno e sacrificio alla gestione della cosa pubblica è una scelta di cui beneficiano tutti i cittadini. Non vuol dire deresponsabilizzare, è esattamente il contrario: vuol dire mettere le persone nelle condizioni di rispondere delle proprie azioni secondo un principio di giustizia e tutela del bene comune.
Purtroppo, da tempo si moltiplicano le situazioni nelle quali i sindaci vengono chiamati a rispondere di fatti su cui hanno scarsissime possibilità di azione e controllo.
Fare l’amministratore pubblico è un onore che comporta responsabilità importanti nei confronti dei nostri cittadini e delle Istituzioni stesse. Da queste responsabilità non vogliamo sottrarci, ma in casi come questo viene da chiedersi se tali responsabilità siano proprie del ruolo dei sindaci. In secondo luogo, ci chiediamo se siano proporzionate alle reali possibilità di azione di un amministratore pubblico eletto.
Secondo la norma attuale, il perimetro di queste responsabilità è così vasto che un sindaco viene chiamato a rispondere in sede giudiziaria non soltanto – e giustamente – per abusi od omissioni derivanti dal suo ruolo di indirizzo politico, ma anche per vari casi di incidenti dove la sua possibilità di azione e di controllo è nulla o quasi. Per semplificare, si rischia di dare la colpa al sindaco per qualunque cosa avvenga nel Comune che amministra, compreso l’incidente nel quale un bambino si chiude le dita in una porta, a scuola, come successo qualche mese a Crema.
Non stupisce, a queste condizioni e con tali rischi personali, che sempre meno cittadini decidano di impegnarsi nell’attività amministrativa. Le conseguenze riguardano tutti: il piccolo Comune dove non si riesce ad eleggere il Consiglio Comunale; la cittadina più popolose dove la classe dirigente è sempre meno disposta a sacrificarsi per lavorare nelle Istituzioni; la “fuga dei cervelli” e dei talenti dall’amministrazione pubblica; l’impoverimento del dibattito e dunque della rappresentanza dei cittadini nelle scelte che impattano sulle loro vite.
Ad aggravare il quadro si aggiungono norme in parte discutibili, ad esempio l’obbligo di sospensione dalla carica elettiva in caso di condanna in primo grado, previsto dalla legge Severino. Nulla da obiettare, naturalmente, in caso di condanne definitive. Ma imporre a un amministratore pubblico la rinuncia al proprio incarico prima della fine di un procedimento penale rappresenta un rischio per l’equilibrio delle comunità che abbiamo l’onere di guidare.
Le proposte di modifica legislativa legate al ruolo dei sindaci e degli amministratori pubblici sono varie e urgenti, come più volte rilevato dai Sindaci e nelle diverse assemblee pubbliche degli amministratori. Parlarne, confrontarsi per provare a migliorare la norma è importante, ecco perché il 6 febbraio a Rivarolo avremo ospiti di un convegno organizzato da ALI Piemonte i senatori Anna Rossomando e Dario Parrini, primi firmatari di alcuni disegni di legge che si propongono di migliorare la Severino con due azioni specifiche: da un lato intervenire sui “reati omissivi impropri” distinguendo fra la responsabilità di indirizzo politico e di controllo, propria del sindaco, e quella tecnico-amministrativa in capo ai dirigenti. Infine, la cancellazione della sospensione dalla carica in caso di condanne non definitive.
La scelta di Rivarolo non è casuale: il sindaco di questa cittadina, Alberto Rostagno, poche settimane fa è stato condannato in primo grado per omicidio colposo per la tragica morte di un uomo, annegato nell’abitacolo della propria auto, bloccata in un sottopassaggio e travolta da una bomba d’acqua. Con la massima fiducia nell’operato della magistratura, pensiamo che, a partire da queste prime proposte di disegni di legge, sia fondamentale promuovere il dibattito per giungere a un quadro normativo più coerente con i ruoli e i poteri degli amministratori pubblici.
*di Elena Piastra, sindaco di Setttimo Torinese e Presidente Ali Piemonte