Parlare di autonomia differenziata in un Paese come il nostro, fin troppo diviso e disomogeneo – tra Nord e Sud, tra centro e periferia, tra aree interne zone montane e coste, tra grandi città e piccoli borghi – e che sconta le conseguenze di riforme incompiute del sistema delle autonomie locali significa fare demagogia utilizzando una controriforma pericolosa per l’Italia della quale più che mai oggi non abbiamo alcun bisogno.
Ciò che serve all’Italia è unità e non certo ulteriore divisione tra i territori. Il ddl Calderoli rischia di fare l’esatto contrario: aumentare il divario tra Nord e Sud e produrre quella che alcuni chiamano la secessione dei ricchi. La Legge di bilancio 2023 nell’art. 143 ha messo nero su bianco la volontà del governo di realizzare i progetti regionalistici da sempre vessillo della Lega Nord.
L’articolo si prefigge di definire entro sei mesi i Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) attraverso una Cabina di regia (o un Commissario), partendo da “una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio”, per poi definire i Lep “nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”. Da questo si evince che i diritti come i livelli delle prestazioni saranno veramente “minimi”, perché se la “spesa storica” verrà confermata verrà semplicemente fotografato (definitivamente) il divario tra le diverse aree del Paese: non si potranno avere pari diritti in tutto il Paese perché i “limiti di stanziamento a legislazione vigente” a priori, smentiscono qualunque possibile ipotesi di maggiore investimento per questi Lep. Chi più ha più avrà. Chi è ultimo rimarrà ultimo. Ma qui parliamo di diritti fondamentali, diritto alla salute e alla cura, diritto all’istruzione, contrattuali etc. L’obiettivo dovrebbe essere l’esatto contrario: uniformare, alzare i livelli, eguali diritti su tutto il territorio italiano. Portare i livelli delle prestazioni da essenziali a uniformi ed uguali.
Serve più coesione e più solidarietà, non creare i presupposti di un Paese che riconosca più diritti alla regioni di una certa area geografica – il Nord in questo caso – solo perché producono più reddito. Lo Stato centrale risponde alla Carta costituzionale e deve lavorare per eliminare le disuguaglianze, creare i presupposti perché tutti i cittadini abbiano uguali diritti. Unire. Ricucire. Non dividere.
Nel ddl Calderoli il trucco sta nella parola “differenziata”, e coloro che vogliono unità nel Paese non possono fidarsi di un’impostazione di questo tipo. Regionalizzare la scuola o la sanità come vorrebbero fare i ministri leghisti significherebbe uscire dal solco della Costituzione e accrescere ancora le disuguaglianze. Sarebbe un arretramento radicale oltre che una controriforma incostituzionale.
Nel merito, il tema è la riforma delle regioni. Se vogliamo discutere seriamente dobbiamo parlare della riforma delle regioni e degli enti locali, altrimenti parliamo soltanto di una forza politica che attraverso l’autonomia vuole ritrovare un radicamento al Nord Italia, dopo lo spostamento a partito nazionalista fatto da Salvini negli ultimi anni.
Le regioni sono nate per legiferare e programmare e sono diventate sempre più un ente gestionale. Piuttosto se vogliamo parlare di autonomia dobbiamo parlare degli enti locali, i Comuni e le Province, e non della creazione di ulteriori meccanismi gestionali a livello regionale. Il ddl Calderoli invece è una riforma che spezza l’Italia, dimentica i Comuni e rafforza ulteriormente il centralismo regionale. Con l’istruzione regionale ad esempio sarebbe negato l’esercizio del diritto allo studio in maniera uguale su tutto il territorio nazionale e si realizzerebbe un doppio regime fra quello nazionale e quello regionale. Nelle passate settimane si sono mossi tanti sindaci del Sud che hanno scritto al Presidente Mattarella, allarmati da questo pericoloso disegno di legge.
Mi pare, inoltre, sia sempre verde per alcune forze politiche l’idea di ridurre il parlamento a mero ruolo di ratifica di intese fatte altrove, ma i Lep devono essere votati in parlamento, non definiti con Dpcm, e ci vogliono intese tra Stato e Regioni votate dal parlamento.
Non bisogna assolutamente trasferire i limiti del centralismo statuale a quello regionale, l’Italia è una e indivisibile. Capisco la fretta della Lega di Salvini di portare subito in Cdm questa riforma spacca-Paese (una secessione di fatto) per le imminenti elezioni in Lombardia, ma i patrioti, amanti del tricolore e dell’unità della nazione, non dicono nulla?