Gli enti provincia hanno rappresentato il tributo accettabile che la classe dirigente nazionale ha voluto sacrificare sull’altare dei costi della politica, dando in pasto all’opinione pubblica una riforma monca che ha prodotto solo problemi di ordine gestionale, con le conseguenti ricadute sui servizi ai cittadini. La riforma Delrio, infatti, non seguita dalla necessaria riforma costituzionale, incappata nel voto contrario espresso dalla maggioranza al referendum del 2016, ha lasciato nel limbo questi enti locali, depotenziando i servizi e tagliando pesantemente le risorse economiche a disposizione.
Ogni regione poi, ha prodotto, nella confusione normativa più totale, una sotto-riforma, decidendo quali funzioni gestire in proprio e quali demandare alle vecchie province, con il risultato che oggi l’Italia vive una situazione a macchia di leopardo, con cittadini di una regione che devono rivolgersi alle provincie per tali servizi, altri per altri, in una confusione che sa di classico pasticcio all’italiana.
Eppure, in capo alle province sono rimaste funzioni fondamentali come la gestione delle strade provinciali e della programmazione e dell’edilizia scolastica relativa all’istruzione secondaria. Competono quindi a questi enti, delegittimati agli occhi del popolino e destrutturati, la costruzione dei percorsi formativi destinati a costruire, nei nostri giovani, le professionalità e le intelligenze del domani, la sicurezza degli edifici, la qualità dei laboratori e l’efficienza delle strutture sportive, oltre alla sicurezza dei milioni di italiani che ogni giorno percorrono le migliaia di strade provinciali, spesso percorsi primari e fondamentali di collegamento tra località periferiche e centri urbani principali. Il tutto senza risorse economiche, senza risorse umane, con pochissimi dirigenti e con organi politici ridotti all’osso, in uno stato di fatto che riduce anche gli spazi di democrazia e di rapporto fiduciario tra elettori ed eletti.
La situazione è sinceramente insostenibile, e il fatto che il Parlamento non se ne occupi – lo dico senza mezzi termini – francamente vergognoso. L’unico tentativo di ridefinizione di ruoli e strutture, per questi enti pubblici, era venuto dall’allora sottosegretario Achille Variati, che aveva cercato, con intelligenza, di superare il potere monocratico del presidente eletto come in un’elezione di secondo grado, privandolo della necessaria investitura popolare, del rapporto di collaborazione con un esecutivo (era in auge la reintroduzione di una giunta), e di una ridefinzione degli ambiti dei poteri spettanti e dei finanziamenti. Cose finite, presumibilmente, nel dimenticatoio.
Se ci guardiamo indietro, in fondo, i processi riformatori degli anni novanta avevano cercato di rivitalizzare il rapporto tra cittadini elettori e rappresentanti eletti partendo proprio dall’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle provincie, riconoscendo anche a questi ultimi un livello di rappresentatività territoriale fondamentale. La riforma Delrio, e mi fa specie doverla abbinare al nome di un politico che stimo molto e reputo preparatissimo, ha provocato anche un vulnus nella funzionalità di territori troppo spesso oggetto di micro-frammentazioni, e pertanto incapaci di trovare forme di coordinamento necessarie anche al buon utilizzo dei fondi del PNRR. Le provincie, infatti, gestivano anche servizi sociali, funzioni come sport, turismo, cultura, immigrazione, ambiente, urbanistica, pesca, che avrebbero bisogno, per favorire investimenti seri, di una visiona sovra-territoriale e capace di superare i ristretti confini dei comuni. C’è da auspicare che si ritrovi il coraggio di prendere in mano la questione, con serietà e competenza. Senza lasciarsi guidare da pregiudizi o rassegnazione.
*di Leonardo Raito, Sindaco di Polesella e Vice Presidente Ali Veneto