Nessuno si aspettava una fine della legislatura così brusca e improvvisa, soprattutto per la complessa e delicata situazione economica che l’Italia sta vivendo – primo fra tutti il problema dell’inflazione – e perché mancavano circa 6 mesi alla sua naturale conclusione. Mandare in crisi un governo come quello di Draghi è stato un atto irresponsabile da parte di partiti che hanno anteposto gli interessi personali al bene degli italiani. E lo abbiamo visto nei giorni che sono subito seguiti alle dimissioni del premier, i temi emersi, i toni e il linguaggio “politico” da campagna elettorale di leader completamente distaccati dalla realtà e privi di serietà per il momento storico che milioni di cittadini, famiglie e imprese stanno vivendo. Penso a chi non sa parlare di altro se non dell’immigrazione, quando la vera emergenza è l’inflazione.
Abbiamo il Pnrr da fare e abbiamo tempi contingentati, abbiamo riforme importanti che ora subiscono una brusca interruzione, un’inflazione altissima che colpisce tutti, le famiglie che non arrivano alla fine del mese e le imprese che non ce la fanno più ad andare avanti per l’aumento dei costi delle materie prime. Servivano risposte rapide, non una crisi di governo. E adesso bisogna fare proposte credibili, che non creino nuovo debito pubblico che l’Italia non può sostenere. I sindaci sono molto pratici, guardano ai problemi reali delle persone perché sono il contatto diretto tra cittadini e istituzioni e ogni giorno affrontano bisogni e problemi reali delle loro comunità. Sono la buona politica del Paese.
Per questo sono convinto, e non sono il solo, che la politica nazionale debba tornare ad “abbassarsi” dando più voce alle persone e ai territori, attraverso chi maggiormente li rappresenta. Sarebbe importante e un grande passo avanti per la nostra democrazia se nella prossima legislatura fosse dato ai sindaci un peso maggiore, per rappresentare le istanze dei territori, delle grandi e piccole città, dei borghi, delle aree interne del Paese, attraverso un loro coinvolgimento diretto nelle più alte sedi della Repubblica.
Non aver cambiato la legge elettorale è stato un errore, il pessimo rosatellum è la legge con cui andremo a votare. Ma il vero fallimento della passata legislatura è stato senza dubbio non aver riformato il TUEL. Abbiamo un Parlamento che ha paura dei sindaci.
Molti come me hanno deciso di rimanere sindaco della città, pur sapendo che da Roma, dal Parlamento avrebbero potuto dare un grande contributo alla nostra terra. Con la legge attuale i sindaci che scelgono di candidarsi devono dimettersi entro 7 giorni dallo scioglimento delle Camere, e a seguito delle dimissioni nei loro Comuni sarebbe arrivato il Commissario prefettizio che ne interrompe tutta l’attività: chiunque ama la propria città e ha responsabilità di governo non può accettare una cosa simile.
Abbiamo bisogno di una legge diversa, perché oggi di nuovo la politica nazionale rinuncia ai sindaci e alla loro forza di prossimità per formare il nuovo Parlamento.
Gli amministratori locali possono dare un contributo di idee e di proposte fondamentale che nessun altro può dare, ma l’attuale legislazione anti-sindaco, discriminatoria, che impedisce ai sindaci (solo a loro!) di candidarsi, va cambiata. Tutte le forze politiche sono responsabili della mancata riforma del TUEL.
Speriamo che nella prossima legislatura venga portata a compimento una coraggiosa riforma del testo unico degli enti locali e che l’incandidabilità dei sindaci e il terzo mandato per tutti diventino legge. Chissà se un giorno non troppo lontano avremo un Parlamento che non teme più i sindaci ma accanto a loro combatte per i cittadini, le città e i territori. Sarebbe bello.