La notizia del finanziamento di soli 1784 progetti contro i 2325 presentati dai Comuni di tutta Italia per il bando della nuova Rigenerazione Urbana ha destato un po’ di sconcerto tra i sindaci, che hanno iniziato ad alzare la voce per chiederne l’immediato completo finanziamento. Ai non addetti ai lavori sarà sembrata una delle tante e continue lamentele per ottenere qualche soldo in più; in verità su questo bando si giocano almeno due questioni strategiche per il Paese.
La prima di esse è legata all’abbandono della logica dell’intervento a spot – cioè tarato sul singolo bando che viene pubblicato, semplicemente per ottenere le maggiori risorse economiche possibili – in favore di una logica d’intervento di tipo globale e strategico. Usando una metafora, potremmo dire che passiamo dal progettare interventi per sostituire le lampadine vecchie dei lampioni a progettare in modo moderno, energeticamente efficiente e tecnologicamente avanzato tutta l’illuminazione della Città, immaginandone lo sviluppo nei prossimi anni. La differenza qualitativa, di obiettivi e di modernità è evidente, ed è coerente con il respiro degli obiettivi del PNRR.
La seconda questione strategica è legata alla necessità del Paese di spendere i miliardi in arrivo dall’Europa sul fondo del PNRR entro la data massima, che è l’anno 2026. E’ palese che una simile quantità di soldi diventano – paradossalmente – un problema se non si è efficaci nelle tempistiche di spesa e nella capacità di sostenere l’immenso carico amministrativo legato agli interventi pubblici. Proprio per questo i Comuni, attraverso progettualità di alto livello e di alto impatto economico, sono i candidati più titolati a ricoprire il ruolo strategico di attuatore di interventi che declinano a livello territoriale gli obiettivi italiani ed europei.
A questo proposito, il primo bando periferie ha dimostrato la capacità dei Sindaci e dei Comuni di saper spendere le risorse messe a disposizione (oltre 3 miliardi di euro in quel caso) attraverso interventi di riqualificazione urbana che hanno inciso pesantemente nel cambiare il volto delle zone più degradate delle nostre Città. E la circostanza è avvalorata anche dal fatto che tali interventi – conclusi o in via di conclusione – sono riusciti a passare indenni, grazie al lavoro comunale, attraverso tutti gli imprevisti, da quelli politici a quelli naturali: non possiamo infatti dimenticare gli inciampi devastanti del cambio del codice degli appalti, del blocco dei finanziamenti per 8 mesi sotto il governo Conte I, della eliminazione (a posteriori!) dei ribassi di gara, oltre all’emergenza Covid e alle calamità naturali (penso al caso del mio Comune, Belluno, dove nell’ottobre 2018 si abbatté la tempesta Vaia che ci costrinse ad affrontare grandi e costosi interventi per il recupero e la messa in sicurezza del patrimonio architettonico e naturale della nostra città, il blocco e lo stravolgimento della programmazione degli interventi, tra i quali proprio uno dei progetti di Rigenerazione Urbana che riguarda lo sviluppo di un parco e di una pista ciclabile lungo l’asta del Fiume Piave).
Infine sul bando della rigenerazione urbana si gioca una partita politica, sullo sfondo, ma tutt’altro che irrilevante per i comuni: quella del criterio di costruzione della graduatoria, che in questa occasione è coinciso con l’IVSM (Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale). La sua applicazione ha generato ciò che ANCI già nel giugno 2021 paventava al Governo: una iniqua distribuzione dei finanziamenti. L’indice, che nasce per “misurare” la fragilità di un comune, in verità prende in esame solo 6 parametri, piuttosto discutibili, che hanno diviso superficialmente in due i comuni italiani, stabilendo che alcuni (prevalentemente collocati al centronord) sono socialmente “sani”, e che altri (prevalentemente al sud) che sono “malati”. La questione non è pericolosa solo per il fatto che viene utilizzato un indice piuttosto approssimativo del 2010 (solo parzialmente aggiornato nel 2018) e che non tiene in considerazione quanto accaduto con il COVID, ma anche perché rischia di innescare, almeno sulla carta, una immotivata tensione tra comuni socialmente “sani” e comuni “malati”. La questione invece va ricondotta sul giusto binario adottando criteri di equità e funzionalità agli obiettivi: da un lato garantendo una distribuzione (giustamente) “sbilanciata” verso il sud, come richiesto dall’Europa per contrastare le difficoltà sociali e infrastrutturali, e dall’altro garantendo accesso ai fondi anche a quei comuni di altre parti d’Italia che hanno le medesime necessità di intervento (si pensi alle aree periferiche di qualche grande città o qualche area a rischio di grave spopolamento), e che hanno dimostrato di aver saputo spendere rapidamente e bene le risorse.
Dunque c’è oggi una grande urgenza: quella che i progetti ammessi e non finanziati trovino immediatamente copertura, per garantire al Paese di crescere, di migliorare la qualità della vita, di centrare gli obiettivi del PNRR, e di spendere rapidamente ed efficacemente le risorse europee che straordinariamente stanno arrivando.
Se si tarderà ancora questa azione,non ci saranno più i tempi tecnici per rendicontare gli interventi entro il 2026.
I Sindaci hanno e avranno sempre un atteggiamento di rispetto istituzionale verso il Governo e lo Stato tutto, ma è evidente che su questa battaglia si gioca una fetta importante dello sviluppo del Paese, ed è importante che lo Stato ascolti urgentemente i Sindaci e metta subito una “toppa” su questo incidente di percorso.
*di Jacopo Massaro, Sindaco di Belluno