Queste elezioni amministrative hanno fatto emergere tre dati su cui riflettere. Per prima cosa, è emerso che ancora una volta il centrosinistra vince innanzitutto grazie i propri Sindaci, che sono radicati, credibili, competenti, popolari, che interpretano il riformismo pragmatico ogni giorno allargando il consenso con forti radici popolari anche nelle periferie delle città. Questa è stata la chiave vincente in questa tornata elettorale, e lo è stata, non dimentichiamoci, anche nelle tornate elettorali precedenti. Gli anni scorsi, quando eravamo in un periodo politico diverso e il vento spirava diversamente, il centrosinistra si è comunque affermato nella maggioranza dei comuni italiani: è successo nel 2018 quando dopo la batosta delle politiche pochi mesi dopo abbiamo vinto in città importanti come Ancona o Brescia, è successo nel 2019 quando nonostante il voto delle europee che ha visto trionfare la Lega, nello stesso giorno abbiamo vinto nella maggioranza dei capoluoghi, spostando voti tra europee e amministrative di decine di punti, a Bari, a Pesaro, a Bergamo, a Modena, e in tantissime città e comuni italiani. Abbiamo vinto l’anno scorso, quando abbiamo pareggiato alle elezioni regionali bloccando la spallata che voleva dare Salvini attraverso le elezioni regionali. Abbiamo vinto con risultati anche straordinari, come a Mantova, o in realtà difficili come a Reggio Calabria. Non dobbiamo perdere di vista questo aspetto, perché anche quando il vento politico era contro di noi il centrosinistra grazie ai suoi sindaci in grado di costruire alleanze larghe e fortemente civiche sui territori è riuscito a vincere e a convincere. Non a caso abbiamo e continuiamo ad avere in questi anni la maggioranza dei comuni nell’ANCI. A dimostrazione di ciò, sappiamo che anche il centrodestra quando ha candidati meno credibili perde ma quando ha in campi invece sindaci in grado di governare bene vince controvento, come a Novara, Pordenone, Grosseto, sì città tradizionalmente di centrodestra ma dove abbiamo visto confermare il governo dei sindaci di centrodestra perché rispetto agli altri candidati messi in campo sono stati presumibilmente più credibili.
Il centrosinistra vince grazie ai suoi sindaci, questo è il dato che emerge dal voto, sindaci che sono la vera energia locale che può cambiare il Paese. In questi mesi, poi, si sono ulteriormente forgiati in prima linea con la pandemia che ha messo in crisi il Paese, hanno dimostrato di avere grandi capacità nella gestione delle difficoltà e dell’emergenza.
Il secondo dato che emerge è sicuramente la vittoria di Letta, perché non sono Letta è andato coraggiosamente a misurarsi in un collegio provando a fare il sindaco di quel collegio, calcandolo palmo a palmo, andando in mezzo alla gente, cercando di recuperare anche quella diffidenza nei nostri confronti che in quei territori era cresciuta negli ultimi anni. Vince l’idea di Letta di tenere insieme il Pd e il centrosinistra nonostante i personalismi, la sua caparbietà di tenere insieme una comunità e una squadra.
Per questo credo che Letta oggi abbia una grande opportunità. Se diventerà il coach di una squadra di sindaci, credibili, che hanno dimostrato ancora una volta di rappresentare i cittadini molto di più di correnti spesso e volentieri asfittiche e personali nei territori, questa può diventare la carta vincente per vincere le prossime elezioni politiche. I sindaci possono aiutare Letta anche ad aprire il partito, e a far partire una fase nuova del Pd e del centrosinistra sui territori e a livello nazionale. Sono convinto nel Letta “Coach” di una squadra di sindaci: si può rinnovare il Pd e si possono vincere le elezioni politiche.
Infine, un ultimo punto di riflessione. Dobbiamo fare attenzione: le elezioni amministrative sono una cosa, le elezioni politiche un’altra. I cittadini sono andati alle urne pensando alla propria città, non pensando al Paese.
E’ evidente che il sovranismo è in crisi, anche perché nella gestione della pandemia ha dimostrato tutta la sua irresponsabilità e perché questa fase di ripresa economica mette al centro degli italiani la voglia di crescere, di lavorare, di fare, la speranza piuttosto che la paura e il rancore, e le forze sovraniste che hanno sempre fatto leva su questi sentimenti negativi in questo momento hanno meno terreno fertile per la loro propaganda e per aumentare i propri consensi.
Sappiamo che il clima politico cambia continuamente, certo è che l’esperienza del Governo Draghi sta facendo emergere tutte le contraddizioni di un centrodestra a trazione sovranista: lo vediamo quotidianamente nell’azione del Governo, che FI e i moderati sostengono lealmente, mentre i sovranisti mettono in discussione un giorno si è un giorno no, stando in maniera insopportabile ogni giorno con un piede all’opposizione e uno al governo.
Ora, dunque, è doveroso aprire una riflessione seria su come evitare che la parte moderata del centrodestra rimanga imbrigliata ai sovranisti. Per liberare i moderati dall’abbraccio mortale dei sovranisti abbiamo bisogno probabilmente di una legge elettorale differente. Dovremmo verificare se esistono le possibilità di riaprire il cantiere della legge elettorale, puntando a un proporzionale con sbarramento al 5%: libererebbe il centro del centrodestra dalla morsa dei sovranisti permettendogli di essere più liberi nello schema elettorale di governo, permettendo automaticamente una semplificazione e una riorganizzazione del campo del centrosinistra con il Partito Democratico che a mio parere automaticamente arriverebbe almeno al 25%. Consentirebbe a Conte e al Movimento 5 Stelle di essere sicuramente un potenziale alleato del Pd ma non un ‘minor party’ in una coalizione ulivista (permettendogli di lavorare su una nuova identità, sicuramente più europeista e riformista, di misurarsi su quello), e permetterebbe al centro liberal-democratico di riorganizzarsi, mettendo da parte i personalismi e le frammentazioni che oggi abbiamo. Credo che la stessa Lega di Giorgetti potrebbe essere interessata a un ragionamento di questo tipo, perché questo darebbe una prospettiva politica al Governo Draghi. Se si rendesse più omogeneo il quadro politico, lo stesso Governo Draghi potrebbe avere una prospettiva post 2023.