Quelle di giugno saranno elezioni molto importanti, non solo perché siamo a un punto delicato dal punto di visto geopolitico – l’Europa è circondata dalle guerre e urge una svolta politica capace di proiettaci verso un’Europa unita e federale, che abbia un’unica voce in politica estera, in politica economica, una comune politica migratoria, e recuperi il suo originale progetto di pace e progresso solidale per cui è nata nel periodo post bellico del secolo scorso – ma anche per il nostro Paese: un test per il governo e le opposizioni sul piano nazionale, una fotografia sullo stato politico dei nostri territori per le contemporanee elezioni amministrative di circa 3700 comuni italiani.
In un momento segnato da crisi economica, migrazioni e nuove guerre, l’Europa e l’Italia hanno bisogno di unità e di obiettivi chiari, perché la disgregazione, la frammentazione e la divisione portano con sé debolezza e inefficacia; perché le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo e vanno guidate con saggezza; perché l’aumento demografico e dell’età delle popolazioni civilizzate obbliga gli Stati a cambiare i modelli di welfare; perché il modello di sviluppo occidentale che abbiamo conosciuto fino a oggi non consente più uguaglianza e sostenibilità generalizzate. Dobbiamo dotarci di nuove visioni e modelli di sviluppo che siano sostenibili e solidali: solo lavorando a ridurre la forbice delle disuguaglianze economiche e sociali l’Europa e l’Italia potranno continuare non solo ad esistere ma ad essere quel perno vitale delle democrazie nel mondo. Solo lavorando in questo senso -unità e sostenibilità, benessere diffuso per le comunità e i territori – si tengono insieme pace e democrazia.
La politica ha un compito fondamentale. Una delle tante sfide che abbiamo di fronte è proprio quella ambientale, che non riguarda solo la sostenibilità delle risorse, la salvaguardia del nostro patrimonio paesaggistico e faunistico, e la tutela della biodiversità (che non ha sicuramente il riconoscimento culturale che merita: la scienza la ascoltiamo solo quando siamo di fronte al danno già compiuto). Quando parliamo di ambiente, infatti, parliamo di futuro, dei nostri figli, della qualità della vita e della tutela della nostra stessa salute.
Il 2023 è stato l’anno più caldo della storia. E bisogna essere franchi: più andiamo avanti più sembra facile segnare nuovi record negativi. Dunque, c’è da domandarsi con serietà e onestà: cos’altro deve succedere per dimostrarci che il cambiamento climatico è più veloce di quello che immaginavamo? Credo che la risposta a questa continua emergenza non possa essere quella di rallentare la transizione ecologica, ma al contrario debba essere quella di accelerarla e guidarla.
Lo scopo primario del patto verde europeo, il Green Deal Europeo, è quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050: dobbiamo decarbonizzare il sistema energetico dell’Unione europea per ottenere zero emissioni di gas serra nette entro il 2050.
Occorrono quindi politiche capaci di incentivare la transizione ecologica, ma occorre anche lo sforzo dei singoli Stati per far partire dal basso una rivoluzione green. Penso appunto alla tutela del patrimonio naturale e faunistico e della salute e benessere delle persone, accanto all’utilizzo delle nuove tecnologie, che potrebbero portare nuovi lavori e nuovo benessere.
Occorrono cambiamenti netti dei nostri stili di vita e dei consumi: ci dobbiamo ad esempio domandare quanto siano sostenibili gli allevamenti intensivi, in termini di emissioni di gas serra, oltre che di benessere degli animali. Non solo: pensiamo anche ai rischi legati a (nuove) pandemie e, infine, al fenomeno globale della deforestazione, legato al consumo di terreni per i bisogni alimentari degli animali allevati.
Sono solo esempi, spunti su ciò che fatichiamo a voler guardare e considerare come modelli di consumo non più sostenibili. Incentivare anche economicamente un’agricoltura sostenibile e rispettosa delle risorse naturali, che non utilizza sostanze altamente inquinanti per non alterare l’equilibrio ambientale, contro un agricoltura intensiva che va contro gli obiettivi del Patto verde, dovrebbe essere al centro delle nuove politiche, perché probabilmente non è fattibile un cambiamento radicale tanto grande se non viene guidato e pianificato negli anni.
Allo stesso modo, per quel che riguarda l’impatto ambientale dei trasporti, dobbiamo incrementare nuove forme di mobilità sostenibile dove possibile. A Pesaro, ad esempio, abbiamo creato la “Bicipolitana” ed è un successo. Certo, è vero che è un Comune di circa 100 mila abitanti, ma ricordiamoci che in Italia sono circa 5.500 i Piccoli Comuni, il 70% dei comuni italiani. Il punto è proprio iniziare a pensare a nuove forme di organizzazione sociale e territoriale: ripensare ad esempio il mondo del lavoro per abbattere gli spostamenti e l’inquinamento; aumentare le aree verdi e i parchi; la tutela delle coste marine; la lotta all’abusivismo edilizio e la riqualificazione tramite incentivi del già costruito; e, infine, c’è l’annoso problema dello smaltimento dei rifiuti. Insomma, di cose da fare ce ne sono tante, ma è necessario avere la volontà politica e la visione. Un Paese e un continente più efficiente e più competitivo a livello globale sono possibili: è questa la grande sfida che siamo chiamati a intraprendere.
Di Matteo Ricci, Presidente nazionale ALI