L’ospite più atteso dell’ultimo giorno della quinta edizione del Festival delle Città 2023 è stato il professor Romano Prodi che, affiancato dal presidente ALI, Matteo Ricci, ha affascinato la platea con una profonda riflessione sullo stato dell’Unione Europea.
«Siamo in un momento particolare per l’Unione. Fra un anno ci saranno le elezioni e incombono eventi negativi, come la guerra in Ucraina. Durante gli ultimi due anni si è confermata una tendenza al bipolarismo. Dopo la crisi del 2008, il bipolarismo nel mondo si è accentuato. Attenzione, perché la politica cambia le cose: il vero nemico dell’Europa è il non fare la politica, vivere alla giornata. E qui è da un po’ che si vive alla giornata.
Dopo il Covid ci siamo rialzati, ma dopo lo scoppio della guerra in Ucraina siamo ritornati passivi. Il problema della staticità dell’Europa in confronto ai problemi che abbiamo in casa, è una sfida enorme. Ma ciò non scalfisce la bellezza delle iniziative europee, di tutto quello che è stato fatto. Sono stati fatti grandi progressi nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani e abbiamo lavorato affinché ci sia sempre la pace in Europa.
Il grande cambiamento politico è avvenuto all’interno dei Paesi europei, nello spostamento continuo dal lavoro della Commissione Europea a quello del Consiglio. È inutile che giochiamo a rimpiattino: se si aspetta sempre l’unanimità, non arriveremo mai a niente.
Dobbiamo mettere insieme politica estera a politica di difesa, altrimenti quella economica non trarrà alcun beneficio e non torneremo alla dimensione mondiale che ci spetta».
Inevitabile un passaggio logico sull’incisione di alcuni dei più importanti Paesi dell’UE: «Il problema della guerra è stato, col passare del tempo, sottostimato: mi riferisco al riarmo della Germania. Il ruolo dell’Italia è stato importante, anche a livello di mediatore. In un giorno solo, dopo settanta anni, la Germania ha cambiato la base della sua politica: sempre contraria al riarmo, ha deciso di superare il 2% del budget della difesa. E questo rende più difficile una visione ampia di quello che vogliamo per l’Europa.
Ciò che ha bloccato il progresso dell’UE è stata la bocciatura della Costituzione da parte della Francia nel 2005. La Brexit è stata sì un’eco imperialista, ma con la parziale marcia indietro dell’attuale premier britannico, capiamo che l’Europa è la soluzione a questo orrendo bipolarismo. E in questo bipolarismo non stiamo trovando il ruolo che dovremmo trovare.
Ci sono altri problemi particolari, come l’ammissione di nuovi Paesi. Il problema dell’Ucraina in Europa è difficilissimo da risolvere, sia per una questione economica, sia perché si ha la paura che l’Ucraina possa assorbire tutte le energie per la propria politica agricola. Ecco i timori senza i giusti cambi istituzionali».
Infine, un giudizio lucido sulla percezione dell’Italia in territorio UE e un messaggio di chiusura, che tratteggia orizzonti di rinnovata speranza: «Oggi l’Italia per la politica europea è esitante, si comporta come fedele all’Europa, in altri ambiti sfruttando temi come armi di ricatto, di contraddizione. È una questione delicata. Le tensioni sono forti e crescenti. E tutto ciò rende diffidenti gli alleati europei più forti e vicini. In Italia il PD è l’unica alternativa forte che c’è: ma la forza deve trovarla in se stesso, non guardando al passato. Bisogna tornare a coinvolgere la gente su tutti gli argomenti comuni. C’è bisogno di richiamare dal basso, non di parlare dall’alto.
Le vie di uscita e le vie di progresso ci sono. Si troverà un’unità politica per raggiungerle. Ho sempre pensato che le crisi aiutassero l’Europa. Pensavo che questa Ucraina aiutasse, almeno dal punto di vista militare, ma si è agito forse in modo troppo passivo. Dobbiamo riprendere a fare una politica europea. L’unica cosa certa è che dopo la Brexit, non ci saranno più secessioni. E ho scommesso che tra vent’anni, loro torneranno. Io tra vent’anni non ci sarò più, ma voi si, ci sarete ancora».
*di Stefano Colagiovanni – comunicazione ALI