In tema di migranti e accoglienza in questi sei mesi il governo ha presentato al Paese ricette molto chiare ma che si sono rivelate del tutto errate. Ha parlato di blocco navale, di fermare le partenze, di rimandare tutti nei loro paese di origine, di guerra alle Ong, ma questi sono argomenti coi quali hanno illusi gli italiani e, spiace dirlo, anche loro stessi. È una politica e un’impostazione che non funziona, perché la disperazione è più forte della propaganda, e non è certo ricorrendo alla propaganda che si governa un Paese.
Quando parliamo di migranti che arrivano con i barconi stiamo parlando di persone disperate che vivono condizioni di estrema povertà, famiglie che lasciano il paese d’origine in guerra, parliamo di madri e padri che cercano di salvare la vita della loro famiglia. Chi vive queste condizioni proverà sempre a salvare la sua famiglia: è un fenomeno storico e strutturale che non può fermare nessuno, a maggior ragione se consideriamo il divario che c’è dal punto di vista anagrafico tra l’Europa e l’Africa.
Bisognerebbe essere pratici, oltre che umani. Capire che non si può fermare questo fenomeno storico e sociale ma anzi che siamo obbligati a gestirlo per il ruolo che ricopriamo nelle istituzioni di questo Paese.
Abbiamo visto che anche aver dichiarato lo stato d’emergenza è stato una sconfitta. L’emergenza non può diventare la gestione dell’ordinario e non può essere usata in assenza di una vera emergenza: se il fenomeno è strutturale e va avanti da decenni (e andrà avanti nei prossimi decenni) non siamo di fronte a un’emergenza. Diciamolo chiaramente.
Quello che occorre è un’organizzazione dello Stato differente.
Anche la guerra alle Ong è stato un errore. Chiedere di portare in porti più lontani le persone salvate in mare disincentiva i salvataggi, oltre ovviamente ad aumentare i disagi psicofisici delle persone coinvolte. Creare difficoltà economiche alle Ong e problemi alle azioni di salvataggio rischia di far avere vicende drammatiche come quella di Cutro. Questa è una politica che non funziona, bisogna prenderne atto.
Esiste poi un altro problema, che è il nodo principale e che purtroppo non è stato affrontato neanche dalle forze di sinistra quando sono state governo, seppur in diverse coalizioni: la legge Bossi-Fini. Il reato di clandestinità come scritto in questa legge è uno dei problemi fondamentali, anche in questo momento. Non averla messa in discussione è stato un errore. Una buona dose di responsabilità è stata la paura di perdere voti, l’opinione pubblica per tanto tempo è stata indirizzata verso un atteggiamento oppositivo nei confronti dei migranti e dei profughi, e la spinta mediatica non ha remato contro anzi l’ha rafforzata. È stata questa paura di perdere voti che ha fatto mancare la determinazione di andare fino in fondo, anche per provvedimenti fondamentali come lo Ius Scholae per cui alla fine ci siamo fermati all’ultimo miglio.
Oggi che è la destra al governo, alla luce dei fatti che chiariscono anche a loro come la propaganda non funzioni a risolvere i problemi, paradossalmente potrebbe essere il momento giusto per fare un ragionamento coraggioso e un’operazione verità: il ragionamento deve partire dalla legalità. Dobbiamo ammettere che più avremo flussi migratori legali e di conseguenza gestiti maggiore sarà l’integrazione, così avremo anche meno problemi legati alla sicurezza e maggiore capacità di sviluppo per il nostro Paese.
Come sindaci abbiamo dimostrato di avere chiaro il cuore del problema, per questo ci siamo opposti all’eliminazione o anche a un semplice ridimensionamento della ‘protezione speciale’, perché se si andasse in questa direzione aumenterebbero gli invisibili, significherebbe far uscire dai radar dei servizi sociali delle città e dell’integrazione tante persone che rischierebbero così di essere assorbite dalla micro e macro criminalità alla continua ricerca di manodopera nei nostri territori; toglieremmo loro ogni possibilità legale di introdursi nel mondo del lavoro e di costruirsi una vita migliore.
Questo è il punto: o si allargano i flussi regolari e legali o l’Italia resterà ferma a maggiore insicurezza, a più invisibili e più criminalità.
Noi sindaci lo diciamo da tempo, e il Governo deve ascoltare i sindaci, perché è quello che facciamo ogni giorno: noi teniamo quotidianamente assieme accoglienza e legalità, lo facciamo di mestiere, sappiamo bene di cosa stiamo parlando.
Anche per le esigenze socio-economiche e demografiche del nostro Paese noi abbiamo bisogno di flussi legati e regolati, soprattutto ora per la grande fase di investimenti che l’Italia sta vivendo con il Pnrr. Non voglio elencare ora i tanti problemi che stanno ostacolando la messa a terra del Pnrr, ma sicuramente uno dei principali è la mancanza di personale delle aziende che devono fare i lavori pubblici.
Lavorare in campo edile non è un lavoro come un altro, occorre una formazione professionale specifica. E visto che l’Italia ha bisogno di lavoratori nel settore dei lavori pubblici, abbiniamo ai flussi regolari una formazione professionale qualificata per chi vorrà lavorare in questo settore. Per fare un esempio, nella città di Roma – che oltre al Pnrr ha anche il Giubileo alle porte – la Cassa edile negli ultimi 10 anni ha registrato un dimezzamento degli iscritti che sono passati da 40 mila a 20 mila. Questa situazione è chiara ai sindaci e lo è agli imprenditori. È evidente che il governo deve cambiare completamente strategia.
Serve una strategia nuova dentro cui deve stare però anche l’Europa.
Per evitare un nuovo ‘caso Cutro’ servirebbe un’azione Mare Nostrum europea. Salvare vite è un imperativo, così come integrarle nella società una volta salvate. In Italia abbiamo due sistemi, il CAS legato alle prefetture e il SAI legato ai Comuni. Quest’ultimo è sicuramente il più efficace perché è un sistema di accoglienza diffusa che abbina l’accoglienza a percorsi di inclusione – linguistica, lavorativa, sociale – delle nostre città, ed è proprio questo che va rafforzato: soltanto con un’accoglienza distribuita noi avremo più possibilità di fare progetti integrativi e anche maggiore sicurezza sui nostri territori.
Se non si scommette sull’integrazione fallisce complessivamente il sistema sia dell’accoglienza sia della sicurezza. Non è solo una questione legata al buon senso e a un punto di vista umanitario della migrazione, è soprattutto un punto di vista pragmatico legato alla gestione e alla sicurezza delle nostre città.
C’è da augurarsi che si apra presto nel dibattito parlamentare un ragionamento di questa portata, anche se l’ottimismo non è alto perché quando si aprono le porte alla propaganda tornare indietro è molto complicato. Ciò che resiste e resta sono i fatti, che hanno la testa dura. Se il Governo Meloni non riesce a leggere gli errori di questi primi sei mesi in tema di migrazione e accoglienza l’Italia continuerà ad avere problemi e il governo a combattere contro i mulini a vento (della sua propaganda).
*di Matteo Ricci, Presidente nazionale di Ali