L’appuntamento elettorale che i cittadini degli Stati Uniti d’America si apprestano a vivere, mi spinge, insieme alla conversazione avuta di recente con l’amico Bill De Blasio – durante la seconda giornata della VI edizione del Festival delle Città, organizzato da ALI-Autonomie Locali Italiane, svoltosi a Roma dal 2 al 4 ottobre scorsi – a fare una riflessione su quanto accomuna le nostre elezioni europee con le presidenziali Usa.
Da progressista e democratico, mi auguro vivamente la vittoria della Vicepresidente in carica, Kamala Harris. Ma non posso fare a meno di notare un parallelo fra le elezioni EU e le presidenziali Usa. Il campo democratico ha vinto le europee e può vincere le elezioni statunitensi, ma – in entrambi i casi, si tratta di vittorie “in difesa”, ottenute per escludere il pericolo rappresentato dall’estrema destra populista. Così come in Europa siamo riusciti, con grande fatica, a creare una maggioranza europeista, composta da noi Socialisti & Democratici, dai Popolari, dai Liberali e dai Verdi, allo stesso modo auspico che il voto dei cittadini statunitensi eviti il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
Ma, attenzione, anche se avvenisse questo, saremmo dinanzi ad una vittoria, come quella europea, avvenuta in difensiva, nel tentativo di frenare, di qua dall’Oceano, il fronte anti-europeista e, di là dall’Oceano, il fronte populista rappresentato proprio da Trump. Non siamo, dunque, dinanzi a vittorie conquistate grazie alla forza coinvolgente del pensiero democratico e progressista. Sono vittorie “contro” qualcosa e qualcuno. Né, tantomeno, aprono a nuovi scenari di cambiamento. Si rischia, dunque, di assistere ad una nuova vittoria parziale e non duratura per il progressismo.
Le forze progressiste, storicamente, vincono e convincono quando nell’aria, nella società, vive e palpita un bisogno e una volontà di cambiamento. Ma, quando prevale la paura, come avviene in questa fase storica, sono sempre – purtroppo, devo aggiungere da progressista quale sono – i movimenti populisti e di destra a prevalere.
La società occidentale, in questo momento, è attraversata da correnti di paure incontrollate. Si ha paura del diverso, spesso identificato nel migrante. Si teme che la transizione digitale possa comportare perdita di posti di lavoro. Si teme, inoltre, che i costi della transizione ecologica possano essere non sostenibili per le classi più fragili. Un terreno fertile, questo delle paure, per la crescita del populismo e della destra estrema.
Nel contempo, assistiamo al fatto che la democrazia è in pericolo nel mondo: sono in corso conflitti anche alle porte dell’Europa stessa, penso all’Ucraina, così come al Medioriente. Ma l’Unione Europea rappresenta proprio uno spazio di democrazia, libertà, progresso. Tuttavia, se non saprà rafforzare il suo assetto istituzionale, l’UE non potrà efficacemente portare avanti il suo ruolo di faro e guida della democrazia a livello globale, assolvendo peraltro a quella missione diplomatica, nella ricerca della pace, che è connaturata ai valori stessi su cui è stata fondata. O l’Europa svolge questo ruolo, oppure non sarà un soggetto forte e credibile nel mondo che cambia.
A fronte di questo scenario, che deve destare forte preoccupazione, c’è il lavoro che noi progressisti e democratici stiamo portando avanti in Europa. Abbiamo sostenuto con forza il programma europeista presentato da Ursula Von der Leyen, contenente punti che riteniamo fondamentali.
Il primo grande tema che affrontiamo in questi mesi a Bruxelles è la transizione ecologica: il cambiamento climatico è molto più veloce di quanto immaginassimo e dobbiamo accelerare la transizione, anche attraverso fondi straordinari, così come già accaduto con il Next Generation EU. Solo con un programma solido di investimenti pubblici potremo accelerare la transizione e rendere l’Europa competitiva, così come suggerito da Mario Draghi, nel suo report, in cui parla di un piano strutturale di circa 800 miliardi annui.
L’altro tema fondamentale è legato al precedente: se nei prossimi anni non avremo investimenti pubblici forti, costanti e massicci, rischieremo un nuova recessione. Ursula von der Leyen stessa ha parlato di un fondo per la competitività. Vedremo nelle prossime settimane a quanto ammonterà il fondo e come verrà finanziato.
Questi i punti essenziali del programma europeista da noi sostenuto: un programma che i conservatori, di cui fa parte il partito guidato in Italia dalla Premier Giorgia Meloni, non hanno votato, pur presentando poi per il ruolo di commissario un esponente proprio di quel partito, Raffaele Fitto. Una vera e propria contraddizione politica. Noi Socialisti & Democratici saremo strenui difensori di quel programma, vigileremo affinché venga portato a compimento.
Nel contempo, mentre noi progressisti siamo impegnati a difendere l’europeismo in casa nostra, l’amico De Blasio mi faceva notare che “È nostro compito continuare a ricostruire la democrazia”. Non posso che dirmi d’accordo. “Questo processo di ricostruzione è anche una chiamata alle nuove generazioni”, aggiungeva De Blasio. Per quel che riguarda l’Europa, posso solo augurarmi che non debbano emergere ulteriori stagioni di grande crisi emergenziale, come avvenuto durante la pandemia, affinché sia chiaro a tutti la gravità del contesto attuale. Solo a fronte di una piena consapevolezza della gravità e drammaticità della situazione contingente il fronte progressista potrà affrontare i cambiamenti in corso nel mondo con una nuova, rinnovata, speranza.
*Di Matteo Ricci, direttore di Governare il Territorio ed Eurodeputato