Il premierato e l’uomo solo al comando

Giugno non è stato solo il mese delle elezioni europee e amministrative, ma anche delle riforme del governo Meloni. La riforma del premierato voluta dalla Presidente del Consiglio e dal suo partito, Fratelli d’Italia, ha avuto il primo via libera al Senato. L’autonomia differenziata, invece, ha incassato il via libero definitivo a Montecitorio.

Ma cosa c’è alla base di una riforma, voluta con forza e portata avanti in tutta fretta, come il premierato e l’autonomia differenziata? Certamente non la volontà di rispettare e tutelare la democrazia e l’Italia unita. Ed è singolare per due partiti che si autodefiniscono da sempre come “patriottici”, “in difesa dell’Italia e dell’italianità”.

Sul premierato, ricordiamo come la riforma sia stata definita anche da forze moderate “avventata” per incostituzionalità, da più parti sono stati lanciati allarmi per uno sbilanciamento dei poteri che vedrebbe il Parlamento leso, depotenziato in modo rischioso per la tenuta democratica del paese. Il ddl costituzionale nasce con la volontà di compiere una riforma per evitare esecutivi fragili, così ha dichiarato la Premier: se così fosse, si potevano perseguire altre vie, adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali. Ma il vicepremier di Forza Italia Antonio Tajani quando dichiarò nei mesi passati che «potrebbe essere la soluzione più gradita alla maggioranza delle forze presenti in Parlamento» in alternativa al “presidenzialismo”, ci dice molto sullo spirito del legislatore che si fa costituente.

Mattarella in questi giorni ha lanciato un allarme: «I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza. Democrazie imperfette vulnerano le libertà. […] Non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti ‘in nome del dovere di governare’. […] Egidio Tosato contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola. Lo fece con parole molto nette: “Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe”. Un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice. La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile di leale e irrinunziabile vitalità democratica».

Vale la pena ricordare anche le parole della senatrice Liliana Segre, durante il suo intervento in Senato nella discussione generale sul ddl costituzionale: «il capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative,ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare». E ancora: «Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».

Chi ha a cuore la democrazia e la nostra Costituzione, le ragioni storiche, politiche e culturali sulle quali è nata, non può non essere preoccupato e restare in silenzio di fronte a questa (nuova) prova di forza che sembra più una pericolosa sperimentazione istituzionale che una scelta ragionevole, alla luce del fatto che negli ultimi decenni abbiamo assistito a una chiara mortificazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo – pensiamo ad esempio ai tanti voti di fiducia – e non viceversa.

Il premierato, inoltre, non è “il sindaco d’Italia”, sebbene qualcuno voglia sostenerne la somiglianza, non è possibile mettere a confronto il governo nazionale con l’amministrazione locale. Il Times ha ricordato come la regola del premio di maggioranza «riecheggi una legge introdotta da Benito Mussolini, il dittatore fascista per darsi più potere». Sta parlando della Legge Acerbo, 1923. L’Italia non può permettersi questi giochi di potere, abbiamo un passato molto pesante, da cui è nato l’antidoto: la Costituzione.

Uscendo poi dall’Italia non esiste altra esperienza europea, l’elezione diretta del premier non è prevista in nessuna delle democrazie occidentali; è stata introdotta in Israele nel 1996 e abbandonata nel 2003.

Riformare la Costituzione laddove si pongono funzioni e paletti del potere legislativo ed esecutivo dovrebbe richiedere non solo attenzione ma grande lungimiranza: una Costituzione funziona se garantisce una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari a noi ora ignoti, senza dunque considerare l’oggi e basta, gli equilibri politici attuali, la mera realtà contingente, i propri personali vantaggi. Perché chi governa e chi fa le leggi deve per forza di cose avere in testa il futuro e non l’oggi.

Questo premierato che la destra sta portando avanti non è democrazia, perché come ha spiegato bene Elly Schlein «non si risolve tutto con un plebiscito; perché la democrazia è una cosa più complessa rispetto ad avere la possibilità ogni cinque anni di essere liberi di andare ad acclamare un “capo”, che poi decide solo per cinque anni. Per noi la democrazia è il potere vero alle cittadine e ai cittadini di incidere ogni giorno di quei cinque anni sulle scelte che prendono i propri rappresentanti in parlamento. E’ anche la forza di correggere le scelte che prende il governo».

In una vera democrazia esiste la separazione dei poteri, principio fondamentale. Con il premierato che sta portando avanti il governo Meloni, l’elezione diretta del presidente del consiglio si traduce in un Parlamento che viene eletto “trascinato” da un capo, un Parlamento dunque molto meno autonomo rispetto a quello di oggi. Questo comporta che se è meno autonomo è meno in grado di ascoltare i cittadini. Un super esecutivo si traduce in un debolissimo Parlamento, una scarsa rappresentatività e scarso potere al popolo. È qualcosa di grave, tant’è che non esiste in nessun altro Paese al mondo questo sistema di premierato. Non assicura l’equilibrio tra i poteri, sancito dalla Costituzione proprio a difesa dei diritti delle cittadine e dei cittadini.

Se il problema sono i ‘governi tecnici’ e i ‘governi fragili’, ma soprattutto se davvero c’è la sincera volontà di dare più potere ai cittadini e al loro voto, perché allora non cambiare semplicemente la legge elettorale, che oggi non permette a quei cittadini di scegliersi direttamente i propri rappresentanti? La risposta è semplice: c’è un’altra volontà nella testa del Governo Meloni.

Di Matteo Ricci, Presidente nazionale di ALI