Dall’intervento del Sen. Antonio Misiani nell’Aula di Palazzo Madama in sede di discussione generale del Def
Il Governo ha presentato un DEF solo tendenziale, senza parte programmatica. Il Governo ci racconta cioè come stanno andando le cose, come va l’economia, come vanno i conti pubblici, ma non ci dice nulla su cosa ha intenzione di fare per il futuro; non ci spiega come ha intenzione di impostare, almeno a grandi linee, la prossima manovra di bilancio: il Governo politico non ha una politica economica, questo è quello che emerge da questo DEF.
Il Governo che ha l’ambizione di essere un Governo politico e di legislatura si sta comportando come un Governo balneare, come un Governo dimissionario, come un Governo che ha di fronte a sé un orizzonte temporale brevissimo.
Un DEF così è una presa in giro nei confronti del Parlamento, una presa in giro nei confronti dell’Italia. Vi è una motivazione ufficiale, che ci è stata ripetuta in tutte le audizioni: c’è il nuovo Patto di stabilità e crescita; mancano alcuni documenti tecnici; non vi era la possibilità di costruire una parte programmatica coerente con le nuove regole.
Questa è una scusa che fa acqua da tutte le parti. Il Ministero dell’economia ha tutti i numeri, ha tutte le simulazioni ed è perfettamente in grado di costruire un quadro programmatico dell’economia, dei conti pubblici e di quello che sarà l’impatto della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo che sarà aperta – come ha detto il ministro Giorgetti – a partire da giugno.
È una scusa che fa acqua da tutte le parti quella con cui il Governo ha motivato il DEF solo tendenziale, perché gran parte dei 27 Paesi dell’Unione presenterà documenti programmatici, anche se c’è il nuovo Patto di stabilità.
I veri motivi per cui il Governo ha presentato un documento solo tendenziale sono altri. I veri motivi sono che la situazione è difficile e che bisogna tenere coperte le carte, bisogna tirare a campare, bisogna scavallare le elezioni europee e amministrative.
È difficile la situazione macroeconomica, perché la crescita del 2024 – come avevamo detto già in autunno – è inferiore rispetto alle previsioni della NADEF, con stime che sono state abbassate, ma che sono più ottimiste rispetto a quello che dicono l’Ufficio parlamentare di bilancio, la Banca d’Italia, il Fondo monetario internazionale, la Confindustria: qualunque previsione è sempre inferiore rispetto a quello che il Governo scrive nel DEF.
La situazione macroeconomica è difficile perché la crescita nei prossimi tre anni, nel 2025, 2026 e 2027, è appesa al PNRR, la cui attuazione vale il 90 per cento della crescita tendenziale che avete scritto nel Documento di economia e finanza. Se lo attuiamo – come tutti speriamo – è possibile che quegli obiettivi vengano raggiunti; ma, se le cose non vanno, l’Italia si avvierà verso la stagnazione.
La situazione dei conti pubblici è difficile perché nel 2023, come ci dicono i pochi numeri di questo DEF, il deficit è andato fuori controllo. Era previsto al 5,3 per cento a settembre; è salito al 7,2 nella prima stima; è arrivato al 7,4 per cento con la notifica a Eurostat di pochi giorni fa. Sono 48 miliardi di euro: 48 miliardi di euro in più rispetto a quello che veniva previsto a settembre.
Pesa il superbonus? Certo che sì. A dicembre 2022 il costo era di 69 miliardi. Ssiamo saliti a 100 miliardi a dicembre 2023 e a 122 miliardi a marzo del 2024. Anche qui, però, andrebbe spiegato che cosa non ha funzionato, perché questo è un Governo che è in carica da diciotto mesi, non da ieri. Ed è un Governo che, a febbraio del 2023, ha bloccato la cessione dei crediti del superbonus, raccontandoci che la situazione era stata riportata sotto controllo.
Da allora, mese dopo mese, i costi sono continuamente aumentati e si sono svegliati solo poche settimane fa, quando i buoi erano già usciti dalla stalla. Dovrebbero spiegare al Parlamento e al Paese che cosa non ha funzionato. Perché hanno avuto 50 miliardi di euro di costi in più per il superbonus, quando avevano raccontato di aver riportato sotto controllo la situazione?
Male il 2023 e, dal 2024 in avanti, la cattiva notizia è il debito pubblico, che prevedevate in lieve riduzione con la NADEF e invece torna a crescere, fino a sfiorare il 140 per cento nel 2026. Questo secondo i loro numeri, perché, leggendo l’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, i rischi al ribasso, cioè i rischi che il debito cresca ancora di più, sono veramente importanti.
Il terzo elemento di difficoltà è il nuovo Patto di stabilità e crescita.
A tal proposito, la destra – Fratelli d’Italia, la Lega, Forza Italia – ha dato il meglio di sé. A dicembre la presidente Meloni e il ministro Giorgetti sono venuti nell’Aula del Senato a dire che quello era un accordo soddisfacente, un buon compromesso: è stato detto che l’Italia ha portato a casa molto, non il massimo, ma un accordo soddisfacente. Non sono però riusciti a convincere nemmeno i loro parlamentari europei, che si sono astenuti sul nuovo Patto di stabilità che è stato approvato dal Governo all’Ecofin e al Consiglio europeo. Si sono astenuti perché si sono resi conto che quello non era un accordo così soddisfacente e che l’Italia non aveva portato a casa così tanto. In effetti, grazie al Patto di stabilità e crescita che hanno subito – perché quello è un accordo franco-tedesco – il sentiero è diventato strettissimo.
Magari i conti rimarranno allineati a quelli della NADEF e al tendenziale del DEF, come ha auspicato il ministro Giorgetti, però bisognerà trovare lo stesso un sacco di soldi. C’è infatti una tabellina scarna in questo Documento di economia e finanza, ed è quello sulle politiche invariate, dove è scritto che è necessario trovare 19 miliardi nel 2025, 23 miliardi nel 2026, 25 miliardi nel 2027 – quindi un crescendo – solo per confermare quello che il ministro Giorgetti ha chiamato le cambiali che sono state firmate sulla testa degli italiani quando hanno fatto una legge di bilancio che ha finanziato solo per un anno il taglio del cuneo contributivo, solo per un anno la riforma Irpef, solo per un anno persino il taglietto del canone RAI.
Quelle cambiali stanno venendo a scadenza e bisogna trovare un sacco di soldi. Non sanno come fare e naturalmente non scrivono come hanno intenzione di recuperare quelle risorse. Vanno trovati i soldi per le politiche invariate, ma naturalmente vorranno fare qualcosa di nuovo con la legge di bilancio 2025 e 2027. La sanità sta cascando a pezzi e c’è un tema previdenziale; ci sono le politiche per il lavoro, gli investimenti, le politiche industriali. È per questo che tengono le carte coperte: non sanno che pesci pigliare per la prossima manovra di bilancio, perché non hanno una strategia per rilanciare la crescita che sta tornando allo “zero virgola”, perché non sanno come affrontare i nodi sociali, con la povertà assoluta al massimo storico, con la precarietà e la povertà lavorativa che crescono, con la sanità pubblica che è in crisi profondissima. Non sanno che pesci pigliare perché hanno promesso un fisco amico – prendendo in prestito una felice espressione di un collega – ma stanno costruendo il fisco degli amici, che mantiene i regimi di favore, che è sempre più indulgente e permissivo verso i soliti noti.
Non sanno che pesci pigliare, perché non sanno persino spendere i soldi che hanno a disposizione. La presidente Meloni è venuta nell’Aula del Senato a raccontare che con la revisione del PNRR vengono stanziati oltre 6 miliardi di euro per le imprese (il piano Transizione 5.0). Siamo ad aprile e non ci sono i provvedimenti attuativi; quei soldi sono congelati, sono fermi; sono fermi gli 1,8 miliardi di crediti di imposta per la ZES. Non riescono a spendere nemmeno i soldi che hanno a disposizione per finanziare gli investimenti e la crescita. Allora tengono le carte coperte perché vogliono nascondere la verità agli italiani: non vogliono dire quali tasse saranno costretti ad aumentare, quali spese dovranno tagliare con la manovra in autunno. E non lo vogliono dire adesso perché tra un mese e mezzo ci sono le elezioni europee. Bisogna andare a prendere i voti e naturalmente non si prendono i voti raccontando la reale condizione del Paese dopo diciotto mesi di Governo Meloni.
Questo è il quadro che emerge da un Documento che di fatto è una pagina bianca. È un quadro difficile, ma è un quadro in cui il Governo politico e di legislatura, il Governo che è nato con l’ambizione di cambiare l’Italia, ha deciso che è meglio rimanere in silenzio. Il Governo ha rinunciato a governare e questa non è una buona notizia per l’Italia e per gli italiani.
Di Antonio Misiani, Senatore e membro Ufficio Presidenza ALI