Pochi giorni fa c’è stata l’ennesima condanna per l’Italia da parte della corte Europea per i diritti dell’Uomo, perché è stato accolto il ricorso di tre migranti tunisini, trattenuti nell’hotspot di Lampedusa tra il 2017 e il 2019. La condanna è per “privazione arbitraria della libertà”.
Giorni prima abbiamo assistito a un dibattito surreale relativo alla decisione di un giudice, Iolanda Apostolico, accusata da alcune parti di governo e di maggioranza di aver disapplicato con un’ordinanza il decreto Cutro per ragioni ideologiche e non in base alla legge. Il costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha ben spiegato in una recente intervista a La Stampa che l’invenzione dell’ufficium «ha un’importanza centrale nella cultura moderna: un atto, religioso o civile, vale (o non vale) indipendentemente dalle qualità personali di chi lo compie». E aggiunge: «dove condurrebbe l’esame della vita privata se si volesse trarne conseguenze sulla validità degli atti compiuti?».
Il decreto Cutro ripropone formule vecchie che già in passato hanno mostrato di non risolvere alcun problema, ma anzi di produrre ulteriori ingiustizie e difficoltà. Detenere immigrati che arrivano nel nostro Paese, anche per motivi economici, in luoghi che sono a tutti gli effetti carceri non è gestire, non è risolvere. Non possiamo pensare di fermare le migrazioni, dobbiamo aprire gli occhi, abbandonare ogni ipocrisia e facile propaganda per trovare formula umane, giuste ed efficaci, per garantire protezione e sicurezza sia ai cittadini italiani sia a chi arriva.
I sindaci conoscono bene gli effetti delle leggi, perché tutto ciò che viene fatto “in alto” cade “in basso”. Da tempo sosteniamo che occorre essere franchi e pragmatici: è giusto anzi doveroso salvare vite umane e controllare chi arriva, ed è giusto e necessario permettere a queste persone di integrarsi e lavorare dando al contempo sicurezza ai cittadini italiani. Non dimentichiamoci che in questo modo si va incontro anche alle richieste di tanti imprenditori che tengono in piedi il tessuto economico del Paese. Abbiamo tanti lavoratori – penso al settore edile, a quello del sostegno agli anziani e alle famiglie per citarne due – che arrivano da fuori Italia, e abbiamo tanti giovani italiani che sono andati all’estero per motivi economici e di studio in questi anni. Abbiamo un problema demografico che non possiamo sottovalutare, se consideriamo i drammatici dati sulla natalità e l’aumento dell’età media. Le persone anziane, con 65 anni e oltre, tra il 1861 e il 2022 sono passate dal 4,2% fino al 23,8% della popolazione. Nello stesso periodo, i giovani sotto i 15 anni sono diminuiti dal 34,2 al 12,7%.
Inoltre, tenere delle persone 18 mesi chiuse in una struttura è umanamente inaccettabile ed è una politica sbagliata, perché significa creare “fantasmi” nelle nostre città, persone senza diritti e senza documenti, senza possibilità di integrarsi e cercare lavoro. Si indebolisce la convivenza tra le persone, si dividono le comunità.
Occorre dunque una nuova politica di flussi regolari e legali. Prima di tutto perché le migrazioni sono un fenomeno inarrestabile, da sempre, perché la disperazione è più forte della propaganda, e ora con le guerre, le carestie, i cambiamenti climatici, la povertà che aumenta e che ormai colpisce anche le fasce intermedie della popolazione di tanti paesi, i migranti sono in aumento. Siamo di fronte a fenomeni strutturali che necessitano di risposte strutturali. Secondo punto, perché chi arriva da noi deve entrare nella legge, non restarne fuori. Non ci devono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B, non può lo Stato a creare “invisibili” che finiscono per forza di cose nelle mani del lavoro nero o peggio ancora della criminalità. Tutti devono rispondere alla legge e tutti devono avere uguali diritti e doveri. Accanto a questo, occorre adottare un nuovo modello di accoglienza diffusa: come sindaci ci battiamo per un criterio di 3 migranti ogni mille abitanti, efficace anche per evitare tensioni con le comunità locali.
Se invece si creano centri enormi di “accoglienza” che sono carceri, se non si gestiscono gli arrivi, lo Stato sta scaricando sui territori e sui comuni i suoi problemi. Alla fine infatti a gestirli saremo noi sindaci, per di più con sempre meno risorse economiche a disposizione (la Legge di Bilancio non prevede nulla per gli enti locali).
Teniamo fuori la discussione da ogni propaganda politica, che ha fatto solo male al Paese in questi anni, e troviamo insieme – Stato centrale e territori – soluzioni efficaci che sappiano capire la realtà di un mondo che cambia e gestire problemi con soluzioni adeguate, garantendo i diritti fondamentali. Per fare questo occorre che il governo la smetta di usare il pugno duro a fini elettorali e ascolti chi governa i territori e conosce le conseguenze di politiche miopi e sbagliate.
*di Matteo Ricci, Presidente nazionale ALI e Sindaco di Pesaro