Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge che contiene “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziari”. Tra le otto norme, vi è quella che abroga il reato di abuso d’ufficio previsto dall’art. 323 del codice penale. I sindaci sono almeno dieci anni che chiedevano la modifica del reato di abuso d’ufficio, per una ragione molto semplice: la legge non funzionava. Se su 5.800 contestazioni le condanne in primo grado sono state in tutto una ventina, molte delle quali annullate in appello o in Cassazione, significa che la norma è scritta male, che è facilmente impugnabile, che siamo davanti a un reato fumoso e non chiaramente definito e circoscritto. Nella sua audizione in commissione Giustizia alla Camera, per la presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero, il ministro Nordio ha definito l’abuso d’ufficio un reato “evanescente”. Di fatto stiamo parlando del 98% di casi finiti in assoluzioni o archiviazioni, un numero troppo alto perché la politica decida di disinteressarsene.
Per ora l’unico effetto certo della legge è stato produrre la cosiddetta “paura della firma” per tanti sindaci, amministratori locali e funzionari pubblici, distruggere carriere politiche e compromettere definitivamente tante storie professionali.
Da pragmatici quali siamo, noi sindaci non ne abbiamo mai fatto una battaglia ideologica, anche perché a chiedere di mettere mano alla norma per tanti anni sono stati sindaci di diversi colori politici a diversi governi in carica, di diversi colori politici anche quest’ultimi.
Noi volevamo una riforma radicale dell’abuso d’ufficio, il Ministro Nordio lo abolisce. È evidente che la riteniamo una vittoria di tutti i sindaci italiani, la valutiamo positivamente anche se è scorretto spacciarla per una grande riforma della giustizia, perché non lo è.
È semplicemente un provvedimento di buon senso che va incontro ad una esigenza vera, che è quella di evitare da una parte la paura della firma per tanti amministratori pubblici dall’altra eliminare un reato che statisticamente non è perseguibile. Quando una legge non funziona o il reato è poco chiaro, oppure è scritta male la legge.
La figura criminosa dell’abuso d’ufficio è stata accompagnata nel tempo da una costante tensione tra istanze legalitarie, che spingono verso un controllo totalizzante per riuscire a frenare una cattiva gestione della cosa pubblica, e l’esigenza di evitare un’ingerenza del giudice penale sull’operato di funzionari e amministratori pubblici, perché lesiva della sfera di autonomia che spetta loro per funzione e mandato. Per questo, il reato, nato nel 1930, ha subito modifiche nel 1990, nel 1997 e più di recente nel 2020: si è sempre tentato di delinearne i contorni in modo più chiaro e definito. Ma è evidente che tutte le modifiche non sono state sufficienti. Per anni l’abuso d’ufficio ha creato problemi di immagine a tanti amministratori che non se lo meritavano, e non è stato un argine per la legalità: si può essere accusati di abuso d’ufficio semplicemente per un atto che si vota o una delibera che si firma, anche semplici provvedimenti come eliminare le macchine dal centro storico di un comune, liberando così strade e piazze, possono trasformarsi in un abuso d’ufficio, basta una denuncia da parte di un cittadino che sostiene che il provvedimento sia stato fatto per favorire un parente che abita in centro! È un reato che in Italia non funziona e che ha creato tante ingiustizie e soprattutto una pubblica amministrazione impaurita e di conseguenza farraginosa.
È probabile che dal punto di vista tecnico-giuridico l’abolizione totale del reato porti con sé qualche controindicazione, che non sai una scelta perfetta quella fatta da Nordio. Certo è che dopo dieci anni che i sindaci pongono la questione è sicuramente un passo in avanti.
Per chiudere, va registrato un fatto in tutta questa storia e discussione: la distanza sensibile tra sindaci e parlamentari nel centrosinistra. Aldilà delle discussioni di merito politiche, se su questo tema sono tanti anni che gli amministratori locali hanno un’opinione che non coincide con quella dei parlamentari qualche problema si pone. Ci sono punti di vista differenti, è sempre stato difficile trovare un accordo. Se chi scrive, discute, vota le leggi non ascolta chi tocca con mano gli effetti di quelle leggi è un problema, non piccolo. I sindaci devono essere ascoltati di più, abbiamo un punto di vista molto pragmatico. Fare il sindaco significa anche essere coraggioso, buttare il cuore oltre l’ostacolo per amministrare una comunità e un territorio, ed è vero che prima di firmare un provvedimento ci pensiamo tantissime volte, ma se la politica nazionale non ascolta o addirittura volta le spalle ai sindaci e alla politica territoriale a perderci sono solo i cittadini, lo Stato e la democrazia.
*Di Matteo Ricci, Presidente nazionale ALI e Sindaco di Pesaro