Gli ultimi anni sono stati anni difficili per gli amministratori locali. A fronte di molti fattori critici, sia da un punto di vista economico sia sociale sia istituzionale – pensiamo alla povertà che è aumentata e che è addirittura diventata “un’eredità” per molti giovani, all’inflazione che ha raggiunto livelli allarmanti a novembre-dicembre dello scorso anno, alla diminuzione del potere d’acquisto dei cittadini, ai salari fermi, alle riforme mancate o incompiute – dalla pandemia in poi per il nostro Paese è stato un susseguirsi di emergenze: sanitaria, lavorativa, energetica, economica, idrica.
Siamo anche un Paese frammentato, così diverso che i suoi territori – le aree interne o le coste, i centri e le periferie, il Nord e il Sud – richiedono politiche ben tarate sui luoghi.
La classe politica e il governo in primis ha una grande responsabilità di fronte a questo scenario. Bisogna chiedersi che cosa serve al Paese. Come fronteggiare e rimediare, come curare. Credo che serva innanzitutto lavorare per “ricucire” il Paese, ricucire le disuguaglianze che attraversano la nazione, ricucire il rapporto tra l’uomo e la natura. Ricucire l’Italia con il protagonismo delle autonomie locali. Serve unità, non certo ulteriori divisioni.
Lascia increduli dunque una riforma come quella dell’autonomia differenziata tratteggiata dal Dl Calderoli. Come è possibile immaginare un progetto che avvantaggia alcuni territori e alcuni cittadini e impoverisce altri?
Al Congresso nazionale di Ali il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi Zuppi, ha detto che non esiste una vera comunità senza solidarietà per i territori più in difficoltà. L’economista Viesti sostiene che una buona autonomia “non si realizza con un semplice tratto di penna”, ma che ha bisogno di tre condizioni: sapere chi fa che cosa, cioè quali sono le responsabilità tra i vari livelli di governo; le risorse finanziarie sufficienti per far fronte alla responsabilità e infine che sia a misura dei cittadini, con indicatori molto precisi di monitoraggio e di controllo. Al Congresso di Ali ha spiegato che “l’Italia degli ultimi venti anni non funziona”, che “ci vuole una prospettiva riformatrice” e che “a partire dai Comuni e dal rapporti dei sindaci con i cittadini si possono rafforzare legami”. Il suo giudizio è stato chiaro: “l’autonomia differenziata è una secessione terrificante”.
La proposta che ho fatto al Congresso nazionale di Ali a Pisa è di iniziare da subito a costituire dei comitati, insieme alle tante sigle che si sono mosse in questi mesi, che si trasformeranno in comitati referendari per chiedere un referendum abrogativo se il governo, nonostante tutto, deciderà di andare avanti. Il dl Calderoli non deve passare. Siamo contro l’autonomia differenziata di Calderoli, lo siamo stati dal primo minuto. L’inganno sta nella parola differenziata, l’Italia non ha bisogno di differenziarsi ma di essere ricucita: ricucire il Nord e il Sud, le periferie, le aree montane con le coste e le città. Avremmo bisogno di un nuovo modello di sviluppo policentrico nel nostro Paese, ma di certo non abbiamo bisogno di una riforma che non è prioritaria e che divide l’Italia. Anzi possiamo dire che l’Italia purtroppo è già differenziata: la sanità, la scuola, il lavoro non sono uguali al Nord e al Sud, nei grandi centri o nell’entroterra, non esistono servizi o infrastrutture eguali ed egualmente disponibili per tutti i cittadini italiani. Ad esempio gli effetti del federalismo sanitario, che esiste dal 1992 e prevede che siano le Regioni a gestire la sanità, sono evidenti a tutti: basta leggere gli ultimi dati relativi ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, dell’Agenas, l’agenzia che monitora per il Ministero della Salute l’attività delle singole regioni. Ora, se il progetto del governo andasse avanti si creerebbero meccanismi pericolosi, spopolamento di intere aree, aumento della mobilità sanitaria dal Sud al Nord, con effetti dannosi per le strutture del settentrione. Ma il disastro non si evita semplicemente togliendo dall’elenco il tema “sanità”. È l’idea di fondo che è sbagliata. Non si può andare contro i principi costituzionali.
Un mega centralismo regionale sarebbe peggio del centralismo nazionale, noi lo abbiamo sperimentato in questi anni di crisi delle Province.
La visione “separatista” o “differenziata” o “secessionista” è all’opposto della nostra visione. Gli amministratori locali hanno per mandato istituzionale un’altra visione: unire le comunità, non dividerle; rendere i territori luoghi migliori, accessibili, belli, vivibili, non luoghi da cui scappare perché carenti di strutture sanitarie, scuole, nidi, lavoro. Abbiamo lavorato e lottato duramente per tutto questo. Non sarà certo un decreto ingiusto e folle a fermarci.
Matteo Ricci, Presidente nazionale di Ali e Sindaco di Pesaro