Le previsioni economiche della Commissione per la primavera, appena pubblicate, registrano il persistere di “un’elevata incertezza” dovuta alla guerra in Ucraina delineando, con il taglio delle forniture di gas da Mosca, anche lo scenario peggiore. Scenario che, nel 2023, costerebbe all’Europa un punto di crescita e oltre l’1% in termini di inflazione. L’Italia è infatti uno dei maggiori importatori di gas naturale russo tra i paesi dell’Ue e sarebbe gravemente colpita da brusche interruzioni dell’approvvigionamento.
Per Comuni ed enti locali che proprio in questi mesi dovrebbero dare il colpo di accelerazione nella realizzazione dei progetti Pnrr l’emergenza è doppia. Sindaci e presidenti condividono con imprese e famiglie il colpo dei rincari energetici, che nei primi tre mesi dell’anno hanno già fatto crescere di circa il 40% i pagamenti per il gas e di oltre il 20% quelli dell’elettricità rispetto allo stesso periodo del 2021.
La dipendenza energetica da altri Paesi riguarda vari Stati membri dell’Unione, su tutti Germania e Italia e impone la necessità di una reazione sia da parte delle Istituzioni comunitarie, sia di quelle nazionali per garantire continuità di approvvigionamento e un adeguamento della strategia di transizione energetica sul piano europeo poiché il gas veniva individuato come il “combustibile indispensabile per la transizione”. La ragione tecnica di questa “scelta” risiede nella non immagazzinabilità dell’energia elettrica. Gli sviluppi tecnologici sulle batterie sono cosa limitata rispetto ai bisogni energetici dell’industria. A parte l’idroelettrico, le fonti rinnovabili non assicurano la coincidenza tra fabbisogno e produzione. Tra le non rinnovabili, il gas sembrava soddisfare questa condizione più delle altre, in base al costo economico diretto e al costo indiretto in termini di inquinamento.
Occorrerà probabilmente, in via emergenziale, prevedere la possibilità di ricorrere temporaneamente anche a fonti fossili ma l’Europa non può assolutamente permettersi di ritardare il programma del Green New Deal europeo che, come è noto, si basa sulla combinazione tra interventismo pubblico nel settore economico e iniziative private e mira a rivedere le priorità nelle scelte sulla produzione di beni e sulla fornitura di servizi secondo una visione orientata alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Di qui, quello delle energie è un settore emblematico per descrivere queste modalità di azione, che sta(va) traducendosi in: promozione di innovazione tecnologica e investimenti in energie pulite; incentivi economici pubblici alla transizione a questo modello; disincentivi regolatori, come l’applicazione di tasse, nei confronti di chi produce o importa energia da fonti fossili.
Il Green Deal europeo (GDE) ha disegnato una tappa avanzata nel processo di transizione ecologica, sotto il profilo quantitativo, qualitativo e per l’innovazione degli strumenti per attuarlo, potendo contare su un sistema di governance che presenta sufficienti caratteri di natura giuridica, benché ancora non del tutto definiti e in forma embrionale. A livello di Unione, infatti, sono già stati adottati strumenti normativi che attraverso una serie di innovazioni di carattere programmatorio e regolatorio che concernono l’intervento dei poteri pubblici nell’economia, mirano a promuovere un modello di crescita economico basato su attività ecologicamente compatibili.
Questi strumenti normativi affidano un ruolo importante alle amministrazioni locali, sia dal lato della riduzione dei consumi quanto sul versante della produzione da fonti rinnovabili.
La spinta arriva dal decreto legislativo “Red II” (d.lgs 8 novembre 2021, 199) entrato in vigore il 15 dicembre che da piena attuazione alla direttiva 2018/2001 dell’Unione europea sulla “promozione e l’uso dell’energia da fonti rinnovabili” e che, tra le altre cose, disciplina il funzionamento delle comunità energetiche. Il decreto ha introdotto importanti elementi di novità rispetto a quanto stabilito dalla legge 8/2020 che aveva recepito parzialmente e in modo anticipato la direttiva europea dando vita alle prime sperimentazioni delle “comunità dell’energia” nel nostro Paese.
La transizione verso la produzione di elettrica da fonti rinnovabili può quindi ora contare, sul contributo sempre più rilevante delle comunità energetiche locali che potranno aumentare di dimensioni, producendo quantità molto maggiori di energia elettrica connettendo molte più abitazioni, attività produttive, negozi ed edifici pubblici. Diventando così un attore importante sul mercato dell’energia nazionale: secondo le stime di RSE-Ricerca sul Sistema Energetico (la società di ricerca che fa capo al GSE-Gestore dei Servizi Energetici) e della Luiss Business School è possibile immaginare nei prossimi dieci anni l’installazione di nuovi impianti all’interno delle comunità energetiche per un totale di 7 GW. Questa è la grande sfida che gli enti locali italiani devono essere in grado di guidare, le caratteristiche meteoclimatiche del nostro Paese possono consentirci meglio di altri di trarne un indubbio vantaggio. I comuni del Sud Italia, le tante località turistiche balneari, le grandi aree industriali possono dare un contributo determinante nel rendere più green la nostra economia ed alleggerire la dipendenza energetica nazionale dall’estero.
* di Massimo Seri, Sindaco di Fano