Dal Senato una risposta impegnativa per il Governo. Ora prepariamo altre iniziative, in vista di una nuova udienza del Tribunale egiziano
In attesa che sia comunicata la data della prossima udienza, va denunciato come le autorità giudiziarie egiziane stanno giocando pesantemente con la vita di Patrick Zaky. Vogliono prolungare fino al massimo consentito la detenzione senza processo, far passare a Patrick un altro anno in carcere.
Questo accanimento è sempre più crudele e la strategia dei giudici egiziani è palesemente quella di creare false aspettative: la volta scorsa, un’udienza a ridosso dell’anniversario dell’arresto aveva fatto sperare che dodici mesi di detenzione arbitraria, illegale e senza possibilità di difendersi avrebbero potuto bastare. Poi col padre di Patrick ricoverato in ospedale, avevano fatto credere in un gesto, se non di giustizia, almeno di umanità. La risposta delle autorità egiziane è stata chiara: altri quarantacinque giorni di carcere. Dunque, ancora un’udienza che non ha risolto.
Da parte del governo e delle altre istituzioni italiane, s’impone la decisione di azioni serie e concrete nei confronti del governo del Cairo. Dire «aspettiamo la prossima udienza e speriamo bene» non è più possibile.
Patrick dal 7 febbraio 2020, quando all’aeroporto del Cairo viene preso in custodia dalla polizia e scompare per ventiquattr’ore, è recluso e accusato dei reati di «istigazione a proteste e propaganda di terrorismo sul proprio profilo Facebook». È stato picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato in merito al suo lavoro e al suo attivismo. I suoi legali hanno denunciato che sul corpo mostra segni visibili delle violenze. «Le recenti decisioni sono deludenti come al solito, senza una ragione comprensibile. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio […] il mio stato mentale non è un granché dall’ultima udienza». Sono parole di Patrick Zaki, dal carcere di Tora, in due lettere datate 22 novembre e 12 dicembre, ma ricevute entrambe con ritardo dalla famiglia e pubblicate dagli attivisti sulla pagina Facebook «Patrick Libero». Parole che dicono chiaro il rischio che si corre.
Serve intensificare un’iniziativa dal basso, urgente e permanente, per chiedere con forza all’Italia e all’Unione europea – dopo la risoluzione approvata a dicembre dal Parlamento di Strasburgo – di attivare ogni iniziativa diplomatica e di pressione sul Governo e sulla Procura Suprema dell’Egitto perché sia liberato un prigioniero di coscienza, detenuto esclusivamente per il suo lavoro sui diritti umani. Perché siano liberate tutte le persone oggi detenute per la difesa dei diritti umani e per aver espresso pacificamente le loro opinioni.
ALI ha preso un’iniziativa forte, con l’intento di rilanciare la campagna promossa dal Comune e dall’Università di Bologna, quella di Amnesty International e di molte altre associazioni che si sono attivate. La richiesta, come si sa, è stata lanciata anche con una petizione su Change.org dall’associazione Station to Station e ha già raggiunto le 208mila firme (firma qui).
Matteo Ricci, a nome di tanti sindaci già impegnati, aveva lanciato un appello per la scarcerazione immediata e incondizionata di Patrick, perché sia aperta un’indagine indipendente sulla tortura subita e garantita la sua protezione. Così abbiamo proposto che i comuni chiedano al Governo italiano concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaky approvando un ordine del giorno nei Consigli Comunali.
La campagna ha avuto i suoi risultati. Con l’approvazione in Senato della Mozione che “impegna il Governo ad intraprendere con urgenza tutte le dovute iniziative affinché a Zaki sia riconosciuta la cittadinanza italiana ai sensi del comma 2 dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 e ad adoperarsi con maggiore vigore in tutte le sedi europee e internazionali, perché l’Egitto provveda senza ulteriori indugi al rilascio di Patrick George Zaki”. Con gli ordini del giorno approvati dai Consigli Comunali: dopo Pesaro, Napoli, Bari, Milano, Firenze, Lecce, Ferrara, Avellino, Rimini e molti molti altri.
C’è il segno della solidarietà delle nostre comunità che dice come difendere la democrazia, senza confini, nel segno dei principii della Costituzione, è difendere il nostro bene più prezioso.
La pressione deve continuare e crescere ancora. Per questo ALI, con gli altri promotori della campagna, in vista di una nuova udienza del Tribunale egiziano ha allertato i sindaci per una pronta e visibile iniziativa, città per città, comune per comune.