Ci aspettano settimane cruciali per iniziare a uscire dal tunnel della crisi sanitaria ed economica. Il governo Draghi ha messo fine al tira e molla sulle riaperture, decidendo una road map di ripartenza realistica e prudente, che inizierà il 26 aprile. Riaprire in sicurezza e in modo irreversibile è indispensabile: gli italiani sono esausti e le manifestazioni rumorose che si sono susseguite sono la punta dell’iceberg dello scontento. Ora, finalmente, possiamo lasciarci alle spalle lo stucchevole derby aperturisti-rigoristi: ci sono un calendario e un percorso definiti. Le riaperture diventeranno irreversibili a condizione che non si trasformino nel “liberi tutti” visto l’estate scorsa. Il disastro della Sardegna – precipitata in quaranta giorni da zona bianca a rossa – è un monito per tutti. La campagna di vaccinazione sta andando avanti, scontando le difficoltà di approvvigionamento a livello comunitario, gli stop and go nell’uso di AstraZeneca e divari eccessivi a livello regionale. Accelerarla è una sfida che possiamo vincere solo se sapremo evitare di andare in ordine sparso e mettere in campo uno sforzo collettivo il più possibile coordinato.
L’emergenza economica impegna il governo in primo luogo nello sforzo di aiutare i settori e le categorie investite più duramente dalla crisi e dalle misure restrittive. Il decreto “sostegni” si è dimostrato complessivamente adeguato per la sanità, gli ammortizzatori sociali, le misure contro la povertà e le risorse destinate agli enti territoriali. Hanno suscitato invece grande delusione i ristori per le imprese e le partite IVA. Superare la logica dei codici ATECO e allargare l’orizzonte temporale di calcolo delle compensazioni è stata una scelta positiva, che però ha comportato un netto allargamento della platea dei beneficiari e una drastica riduzione delle singole erogazioni. Il nuovo scostamento da 40 miliardi sarà in gran parte utilizzato per finanziare un decreto a favore del mondo delle piccole imprese. Serve una nuova tornata di ristori, evitando di inventarsi nuovi meccanismi. Meglio replicare in modo automatico quello del decreto “sostegni” e, in parallelo, compensare una serie di costi fissi: affitti, bollette, tasse comunali. E’ necessario alleggerire il peso del debito privato, che rischia di strozzare la ripresa. Su 1,6 milioni di imprese e famiglie gravano 173 miliardi di prestiti tuttora congelati dalle moratorie in essere, che scadono a fine giugno. Vanno prorogate fino a dicembre, definendo un percorso di graduale fuoriuscita dall’emergenza. Le garanzie statali in questi mesi hanno permesso l’erogazione di 152 miliardi di prestiti a quasi 1,9 milioni di imprese, artigiani, autonomi e professionisti attraverso il Fondo di garanzia PMI e quasi 23 miliardi attraverso SACE. Molte imprese non riusciranno a restituirli nei tempi previsti, altre rischiano di vedere assorbiti gran parte dei margini per il servizio del debito, togliendo spazio agli investimenti. Serve un intervento strutturale per restituire ossigeno ai debitori, allungando i tempi di restituzione dei prestiti superiori a 30 mila euro da 6 a 15 anni (come è già stato fatto in legge di bilancio per quelli al di sotto di quella soglia) e prevedendo percorsi per consolidare almeno parte di questo debito, anche convertendolo in equity o quasi equity. Quanto al lavoro dipendente, bisogna evitare che la fine del blocco dei licenziamenti apra una voragine occupazionale. La fase che si aprirà tra giugno e ottobre va gestita costruendo un patto tra le parti sociali che preveda un rafforzamento della rete di protezione (in primis con la riforma degli ammortizzatori sociali) ma anche investimenti negli strumenti di gestione delle crisi aziendali e un taglio del costo del lavoro per le imprese che rinunceranno a licenziare.
Investimenti (e riforme) rimangono la chiave per recuperare il prima possibile quanto perso nel 2020 e, soprattutto, per mettere l’Italia su un sentiero di sviluppo sostenuto, oltre che sostenibile. I soldi, una volta tanto, non mancano: gli oltre 200 miliardi messi sul piatto dall’Europa si aggiungono ai tanti fondi nazionali stanziati dal 2017 in avanti per gli investimenti pubblici. Il PNRR è in dirittura d’arrivo: a fine aprile sarà trasmesso in Europa. Detto questo, scrivere il piano migliore del mondo non servirà a nulla se non taglieremo drasticamente i tempi di realizzazione dei progetti di investimento (quasi 15 anni per opere pubbliche di valore superiore a 100 milioni di euro!). Il nodo di una “corsia veloce” per i progetti del PNRR va sciolto e va sciolto adesso, altrimenti la nostra generazione verrà ricordata per aver sprecato un’opportunità storica e irripetibile. Se, viceversa, le cose funzioneranno a dovere, avremo messo le basi per fare uscire da questa crisi un’Italia più moderna, più sostenibile, più giusta.
*di Antonio Misiani – Senatore, Ufficio di Presidenza di ALI