La proposta di legge all’esame del Senato è importante, di cambiamento notevole, condivisibile per gli obiettivi. Anche se persiste la scelta di non fare una legge urbanistica nazionale – restiamo a quella del 1941 -, mentre la prima legge sul recupero delle aree degradate è la 467 del 1978 e già affronta il degrado fisico, economico e sociale. La proposta cerca di agganciare i provvedimenti per la “transizione ecologica” anche se poi deve fare i conti aspetti più da urbanistica classica.
Ferma restando l’innovazione fondamentale dei finanziamenti e del piano nazionale, che sono la vera novità, per il resto tutta una serie di adempimenti di tipo ambientale sono già inseriti in molte legislazioni regionali e comunque sono ricompresi nella VAS, obbligatoria per i piani di trasformazione.
L’Anci ha rivolto una critica pesante, per il fondo destinato alle regioni che le stesse assegnano ai comuni tramite bandi. C’è però da ricordare, stanti le competenze regionali in materia di governo del territorio e l’esito dei conflitti risolti dall’Alta Corte, la vicenda del “bando periferie” e il blocco subito dalla misura prima del parere della Conferenza Unificata. Per il resto, si possono comunque prevedere tempi definiti e procedimenti semplificati anche nei provvedimenti attuativi.
Da sottolineare, per valutare la portata economica e sociale dalla proposta, visto che i finanziamenti sono cumulabili, la connessione possibile alle scelte della Commissione UE, fatte con la comunicazione “Un traguardo climatico 2030 più ambizioso per l’Europa. Investire in un futuro a impatto climatico zero nell’interesse dei cittadini”. Si tratta di un’apertura di notevolissimo impatto, di una svolta:
- raddoppio del numero degli edifici sottoposti a ristrutturazione ogni anno, stimando una quantità di 35 milioni di edifici entro il 2030;
- 275 miliardi di euro in più ogni anno destinati alle ristrutturazioni da qui al 2030 (in pratica l’equivalente del fondo Next Generation Eu ogni 2,7 anni per il solo settore edilizio);
- quota parte, pari a 57 miliardi di euro ogni anno, destinata all’edilizia sociale;
- previste misure di facilitazione perché possa ristrutturare anche chi ha rediti medio-bassi.
È una piattaforma di lavoro davvero strategica per rinnovare le nostre città, per creare un’economia sostenibile che mette al centro l’intervento sul già costruito.
Inoltre, il “censimento” del patrimonio e la “banca dati del riuso” previsti nel testo unificato sono volani importanti per iniziative di trasformazione urbana, perché consentono anche di esercitare una pressione sulle proprietà.
Con il provvedimento all’esame del Parlamento si favoriscono interventi di edilizia residenziale sociale, anche in coabitazione; si prevede di operare con le “comunità energetiche”; è possibile la partecipazione attiva degli abitanti alla progettazione con “cooperative di comunità”; si rilancia l’obiettivo di eliminare le barriere architettoniche. Tutti obiettivi fortemente voluti dagli enti locali.
Critiche sono venute anche da parte di chi, come il Forum Salviamo il Paesaggio, rappresentativo di tante associazioni, ritiene che la rigenerazione urbana debba essere legata in maniera indissolubile all’arresto del consumo di suolo e lamenta, con argomenti difficilmente contestabili in via di principio, che sia stata abbandonata la Proposta di legge “Norme per l’arresto del consumo di suolo e il riuso del suolo urbanizzato” che aveva elaborato presentata alle Camere nel medesimo giorno del loro insediamento nel marzo 2018 (AS164, prima firmataria Paola Nugnes), poi incardinata in Senato.
In sostanza, c’è da augurarsi che il confronto parlamentare porti ad acquisire miglioramenti quanto a coerenza del provvedimento con gli obiettivi e a facilitazione dei procedimenti, ma con un’approvazione rapida, rispondendo così ad attese molto diffuse e recuperando un ritardo storico. Il successo che sta dimostrando l’attuazione del “bonus 110%” dimostra che si può incrociare una domanda importante. Si deve fare anche per superare la crisi provocata dalla pandemia con un radicale cambiamento, per spingere davvero la transizione ecologica.
* di Marco Filippeschi – Direttore dell’Ufficio Studi di ALI