La ingiusta carcerazione senza processo di Patrick Zaki dura da un tempo lungo e spossante quanto la pandemia. Era il 7 febbraio 2020, infatti, quando il giovane ricercatore di origini egiziane iscritto all’Università di Bologna fu stato letteralmente rapito all’aeroporto del Cairo – dove aveva fatto ritorno per fare visita ai familiari – da agenti dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale (NSI), nascosto per 24 ore durante le quali, secondo quanto riferito dai suoi legali, è stato minacciato e picchiato in un interrogatorio circa il suo lavoro e il suo attivismo per i diritti civili, e infine accusato formalmente di propaganda sovversiva dal regime del suo paese.
In questi 12 mesi Zaki ha ottenuto poche udienze – le prime soltanto cinque mesi dopo l’arresto – e con la scusante della pandemia lo scorso 7 dicembre il giudice del tribunale antiterrorismo del Cairo ha stabilito un primo prolungamento del carcere preventivo, al quale ne è seguito un altro ancora il 2 febbraio 2021. Nel frattempo, si sono moltiplicati gli appelli e le mobilitazioni di attivisti e associazioni perché venisse revocato il suo arresto, ormai oltre ogni accettabile limitazione del diritto di fermo. Una incarcerazione preventiva alla quale non sono seguiti approfondimenti circa questa presunta colpevolezza, mentre aumentano ogni giorno i rischi legati alle condizioni di salute di Patrick.
Una vicenda di totale privazione dei più elementari diritti civili che indigna e che purtroppo ricorda da vicino quanto accaduto al nostro connazionale Giulio Regeni: per questa ragione l’Italia ha più motivazioni di ogni altro Paese al mondo per non lasciare intentata alcuna mossa politica per esercitare pressione internazionale, scongiurare un altro epilogo tragico e restituire dignità e diritti a uno studente che rappresenta quanto di meglio possano offrire le giovani generazioni, ovunque, nel Pianeta.
Il caso è seguito anche dalla Farnesina, che ha chiesto e ottenuto l’inserimento in un programma di monitoraggio processuale coordinato dall’Unione Europea, tanto che durante l’ultima udienza di febbraio era presente un funzionario dell’ambasciata italiana al Cairo.
In questo contesto si è posta l’iniziativa di diversi Comuni Italiani, e con loro convintamente anche di ALI Autonomie, per promuovere un ordine del giorno, da portare nei Consigli comunali, che chieda l’attivazione del Governo italiano affinché conferisca a Patrick la cittadinanza Italiana “per meriti speciali”, in riferimento al secondo comma dell’articolo 9 della Legge sulla cittadinanza Italiana.
Sono solita dire che i diritti sono il modo di amare delle Istituzioni, chiamate, ciascuna per il proprio ruolo e le proprie competenze, a promuoverli e ad ampliarne il bagnasciuga.
Conferire la cittadinanza italiana a Patrick Zaki è la modalità autenticamente istituzionale di reclamare quel ragazzo, di difendere il suo corpo vilipeso, di gridare la sua storia senza voce, e colmarlo con l’amore dei nostri diritti, salvandogli la vita.
Ed ha molto senso che siano i sindaci, attraverso i propri Consigli Comunali, a sostenere questi ordini del giorno, perché i Comuni sono spesso l’avamposto dei diritti e per la loro prossimità alla società civile, sono in grado con più immediatezza interpretarne le sensibilità e di anticiparne le istanze.
Che si dia voce alla indegna vicenda del giovane Patrik Zaki con la più alta attenzione delle Istituzioni Italiane!
* di Stefania Bonaldi, Sindaca di Crema